Madonna di Lenne

Madonna della Mano

NOTE STORICHE ED ARTISTICHE PER UN RECUPERO

Posizione.
La chiesa di Santa Maria di Lenne è ubicata in territorio di Palagiano sullo spalto occidentale della Lama di Lenne, lungo la strada provinciale che da Palagiano conduce in contrada Conca d'Oro, precisamente all'omonima masseria. La chiesa è posta su una lieve altura (33 m. s.l.m) che gli permette di dominare un largo tratto di territorio ad est, praticamente la zona denominata "Castiglione", anticamente appartenente ai beni della mensa vescovile di Mottola (i vescovi mottolesi si fregiavano del titolo di "Baro Castilionis et Lemnae", titolo ereditato in occasione della soppressione della diocesi di Mottola, avvenuta nel 1818, dai vescovi di Castellaneta).

Storia
Le origini della chiesa non sono supportate da una documentazione atta a dimostrare alcune ipotesi avanzate da studiosi locali, vedi A. Moschetti (originaria funzione pagana della cappella di Lenne e della Madonna della Stella, addirittura due tempietti dedicati ai Dioscuri), F. Ladiana (che a supporto di tale tesi dice che i basamenti delle due cappelle poggiano su grossi lastroni di carparo, a differenza del materiale tufaceo con cui sono costruite); il Palmisano menziona un documento custodito nell'abbazia cavense che parla di "Suda, quale ei stata cità antiquissima et roinata adeoche nel presente (anno 1548)" erano visibili "li vestigi et fundamenti de dicta cità"; non solo ma secondo il Palmisano doveva essere situata sulla sponda orientale della lama di Lenne, nel territorio compreso tra la strada che conduce alla fonte di Calzo e quella che conduce alla fontana di Trovara. Tra gli autori che si sono occupati di questa parte del territorio palagianese vi è anche il Caragnano, il quale cita il documento cavense a dimostrazione della reale esistenza della città di Suda, oggi scomparsa.
In questo caso la chiesa può aver avuto una funzione ben precisa nel contesto di questa ipotetica città, affondando le proprie origini in un contesto addirittura paleocristiano.
Un altra tesi da non scartare, anche se molto fabulosa, è l'esistenza nelle zona in questione di una cittadella, Phanes, situata, però sul lato occidentale del fiume Lenne, come si può osservare nella carta topografica della Japigia del Cataldi, inserita al num. 112 del testo di E. Poci "Mesagne, profili urbanistici" edito dal museo civico "U. Granafei" nel 1980, tesi supportata, questa volta dagli scavi archeologici compiuti dalla Soprintendenza ai beni artistici architettonici e storici di Bari agli inizi degli anni '80, che portarono alla scoperta di un insediamento alto-medievale con una piccola necropoli. Anche in questo caso la chiesa si potrebbe presentare come "la chiesa della città".
La prima notizia documentata riguardo la chiesa di S.Maria di Lenne risale al 1110, anno in cui, nel mese di luglio, viene donata alla Badia di Cava dei Tirreni dal Vescovo di Mottola, Valcauso, con un vasto territorio corrispondente alle attuali contrade poste a mezzogiorno dei comuni di Palagiano e Palagianello (contrade "Comune", "Lama di Lenne", "Chiatone" in territorio di Palagiano, "Difesella" in territorio di Palagianello, "Conocchiella" sul confine dei due comuni), anticamente facente parte del feudo della "civitatis Mutule" come è riscontrabile analizzando l'atto di donazione effettuato nel 1081 dal conte normanno Riccardo Siniscalco, dove si evince chiaramente che il territorio di Mottola alla fine del XI sec. giungeva fino alla marina.
Non è noto il motivo per il quale studiosi come C.D. Fonseca, G.Guerrieri, G.Vitolo insistano sull'appartenenza alla diocesi di Castellaneta della chiesa e quindi del suo territorio, facendola dipendere da uno dei priori dei monasteri benedettini siti in Castellaneta (S.Sabino, S.Matteo "de domo"), quando, per confutare ciò, basterebbe approfondire la pergamena XI, riportata da G.Guerrieri nell'appendice "Diplomi e documenti" della sua opera, relativa alla donazione fatta nel 1099 dal Siniscalco a Pietro abate dell'Abbazia di Cava e al monastero di S.Michele Arcangelo di Casalrotto, dalla quale si evince chiaramente che i territori donati corrispondono a quelli facenti parte attualmente della contrada "la Comune", già facenti parte del possedimento benedettino di S.Maria di Lenne; quindi l'insediamento benedettino sulla lama di Lenne era una dipendenza del monastero di Casalrotto e non, come P.Dalena asserisce, del monastero di S.Maria di Banzi in Basilicata.
Un altro dato teso ad avvalorare l'appartenenza al monastero di Casalrotto e non a quello castellanetano, nonchè alla sua diocesi ci viene posto da un diploma del 1133, riportato dall'Ughelli, riguardante la restituzione, nel settembre di quell'anno da parte di Re Ruggero di Sicilia al Vescovo di Castellaneta, Nicola, del casale di S.Andrea " de capite aquarum" che Riccardo Senescalco aveva tolto nel 1099 nella seconda parte della sua donazione (da quel momento il Vescovo di Castellaneta avrà il titolo di "Dominus Casalis S.Andreae de capite aquarum, Orsanen, S.Matthei, Gualellae,Temitosae, ac fluminis Lati"), praticamente la parte rientrante nell'attuale territorio di Castellaneta.
Ritornando ad una rilettura storica della chiesa, nel corso del basso medievo le fonti tacciono (in questo periodo si suppone che la chiesa-santuario di S.Maria di Lenne, come anche la stessa chiesa di S.Lucia, nel territorio di Massafra, abbiano arrichito le proprie rendite grazie a donazioni, effettuate per devozione popolare, "pro acquirendis aeternis").  Nella raccolta delle decime del 1324, non v'è alcuna menzione della chiesa di S.Maria ( il collettore riscuote diciotto tarì dal clero greco di Palagiano che molto probabilmente si occupa della cura del santuario), invece per la S.Lucia di Massafra il collettore riscuote sette tarì.
Le notizie sulla chiesa ed il suo territorio ritornano nella prima metà del XVI sec.quando insorge una lite tra il barone di Palagiano, quello di Palagianello e l'abbazia di Cava dei Tirreni; nel 1540 Tiberio Domini Roberti, barone di Palagianello, sconfinò nel territorio di S.Maria di Lenne ben sapendo che i procurtori di Cava ci andavano solamente per riscuotere le rendite e le decime. Ma il barone di Palagiano, Giacomo Protonobilissimo, che aveva giurisdizione feudale su quel territorio, intento una causa contro Tiberio Domini Roberti; il Protonobilissimo presentatosi presso la Badia di Cava, nell'anno 1541, informò i monaci di ciò che stava accadendo nel territorio in questione, con lo scopo di ingraziarseli e, quindi, acquistare il possedimento.
Infatti il 24 febbraio 1544 l'abate e i monaci riuniti in capitolo dichiararono di "habere, tenere et possidere quodam territorium magnum vulgariter nominatum Sancta Maria de Lenne, situm et positum in tenimento seu desctricto...castri Palagiani ***** lama predicti Lenne, in burgensaticum et burgensaticorum bonorum naturam, francum et allodium" (Archivio dell’Abbazia di Cava dé Tirreni - doc. cart. B - 3 - 24, n.1689) e si dichiararono pronti a vendere il possedimento al barone di Palagiano, dopo aver fatto esaminare e valutare lo stesso territorio da  tre periti, dello Bifaro di Castellaneta e Caputo e Rizzo di Taranto, i quali con perizia giurata dinanazi all'abate Vito Ferente Arcidiacono e Vicario Generale della Diocesi di Mottola, dichiararono che il possedimento in questione valeva millecinquecento carlini d'argento, somma che il Protonobilissimo verso parzialmente ma che gli consentì di frenare le mire espansionistiche del vicino feudatario di Palagianello e di aumentare i propri possedimenti; in più il monastero cavense faceva dono "in jurepatronatus" della chiesa di Santa Maria di Lenne al barone, il quale si impegnava a riparare la chiesa entro l'anno (1545) mediante l'esborso di cento ducati e a farvi celebrare in perpetuo messa in tutte le festività della gran Madre di Dio.
Anche nella Relatio ad limina del vescovo di Mottola, Mons. Pietro Paolo Mastrilli, effettuata nel 1706, sono menzionate "...extra moenia duae aliae Cappellae, una sub invocatione Sanctae Mariae Stellarum...altera vero sub titulo Sanctae Mariae de Lenne jurepatronatus Barunorum...".
Fino al 1860 la festa della Madonna di Lenne veniva festeggiata il 16 luglio, con una processione verso la chiesa, corteo che a detta del sig. A. Moschetti si svolgeva nelle ore pomeridiane, con gli uomini, scalzi, che percuotevano le loro spalle nude con grosse catene per penitenza. La festa non venne più celebrata perchè la Confraternita del Carmine cominciò a festeggiare la propria patrona nella metà di luglio. L'antico simulacro della madonna era custodito in una nicchia posto nell'ingresso di palazzo Masella-Sorace, alle spalle del municipio.

Iniziativa
Oggi la chiesa è posta sotto vincolo monumentale con D.M 07/04/82 foglio 37, particella 3; zona di rispetto D.M. 08/04/82 foglio 37, particella 2.
La chiesa versa in condizioni deplorevoli, gli affreschi all’interno sono in uno stato fatiscente ed inoltre non è visitabile poiché la stessa oggi è adibita ad uso abitazione privata: pertanto urge un’immediata denuncia alle autorità competenti, al fine di restituire alla collettività un bene artistico di inestimabile valore storico, testimonianza tangibile di una forte devozione mariana (vedi graffiti alla base della Madonna della Mano), nonché di una naturale prosecuzione dell’arte pittorica basiliana e bizantina dalla tipologia in rupe dei comprensori rupestri di Ginosa, Laterza, Palagianello, Castellaneta, Massafra, la famosa “Tebaide d’Italia”, a quella sub divo rappresentata dalla nostra piccola chiesetta.

Fonte: www.palagiano.net
Autore: Luigi Putignano  

 

 Fonte Foto e testo seguente: “Palagiano tra saperi e sapori”, Circolo Didattico Giovanni XXIII.

Già dal 1110 abbiamo notizie della chiesetta di SANTA MARIA di LENNE, ubicata a circa quattro km dal centro abitato, ora proprietà di un privato. Nella cappella sono presenti due icone, una con l’immagine della MADONNA di LENNE e l’altra, la misteriosa immagine della “ MADONNA DELLA MANO ”. I colori utilizzati per gli affreschi venivano ricavati dalle terre e dai minerali a cui si aggiungevano l’albume dell’uovo, il fiele  o il siero del latte con funzione di collante. Sul dipinto terminato si spalmava cera d’api per proteggerlo e renderlo liscio.