Parlando a Palagiano una sera dello scorso gennaio avendo ad argomento "Per la storia di Palagiano", ero perfettamente consapevole del fatto che, portando le prove dell’esistenza di un villaggio denominnato Palagiano nella gravina di Palagianello più antico del centro che attualmente si chiama Palagiano, che è di fondazione basso medievale, avrei comunicato cose ovvie a tutti gli studiosi seri, privi di pregiudizi e aggiornati sugli ultimi dati della ricerca, ma non sarei stato preso in considerazione dagli studiosi campanilisti di Palagiano, che sono negazionisti "a prescindere" e si ostinano ad ignorare di proposito prove archeologiche e documenti d’archivio, legati come sono ad un vetusto e defunto modello di storiografia localistica ascientifico e celebratorio.
Credevo però, o almeno speravo, che fosse sufficiente per tutti ricordare che nell’Alto Medioevo la via Appia nel tratto che va dal luogo ove oggi sorge Palagiano - e dove, in età romana, era probabilmente una piccola statio di sosta per i viaggiatori – fino a Taranto era stata ingoiata dalla palude e sostituita da un tracciato pedemontano descritto agli inizi del XII secolo dal geografo Guidone, tracciato che andava da Taranto a Massafra, saliva verso Mottola, deviava verso Casalrotto e da qui raggiungeva il villaggio rupestre di Palagiano nella Gravina, subito dopo il quale si ricollegava, prima di Castellaneta, alla vecchia Appia romana, motivo per il quale, nel bel mezzo della palude, aggirata dalla nuova strada, non ci poteva essere nessun centro abitato, qual che si fosse il suo nome: insomma, il villaggio di Palagiano, citato da documenti di XI-XIV secolo, era con assoluta certezza altrove. E noi sappiamo che era il villaggio rupestre nella gravina oggi detta di Palagianello.
Adducevo, a riprova dell’anteriorità di quel villaggio di Palagiano rispetto a quello che oggi porta questo nome, due documenti conservati negli Archivi del Monastero Benedettino di Cava dei Tirreni e nell’Archivio Capitolare di Massafra nei quali il villaggio rupestre è denominato "Palagiano Vecchio", il che mostra con ogni evidenza che, almeno nel Cinquecento, c’era un villaggio di Palagiano Nuovo, che, la si prenda come si vuole, è venuto molto dopo quello vecchio.
Ma dovrei ripetere cose che ho detto e ridetto e ruberei spazio inutilmente.
Le mie tesi, però, non hanno convinto Luigi Putignano, che il 26 febbraio scorso ha pubblicato – com’è suo diritto - su "Palagiano Net" un articolo di dissenso tendente a ridimensionare le mie affermazioni.
Non avrei condannato i lettori a leggere una risposta ad un contributo in fondo innocuo, che, in sostanza, ripete all’infinito – senza addurre una sola prova, perché non è possibile addurne, dato che non esistono – che Palagiano Vecchio non ci puo’ essere stato prima di quello nuovo, e chi crede a quello che dico io (purtroppo per i negazionisti, io sono in buona compagnia di numerosi studiosi) cade in errore. E queste sono opinioni legittime, anche se erronee, dell’Autore.
C’è però un passo del testo di Luigi Putignano che non posso assolutamente accettare, ed è quello nel quale si dice "Ed è proprio Caprara ad essere convinto che quel clero greco fosse arroccato nell’insediamento rupestre di Palagianello. Senza alcun supporto documentario".
Questa è un’enormità offensiva della mia onestà scientifica. Io non ho la presunzione di essere infallibile, ma nessuno puo’ accusarmi, se non è in malafede, di essere uno storico che fa delle affermazioni senza prove.
Il clero greco che io ubico nel 1324 nel casale rupestre di Palagiano Vecchio è quello citato dal Vendola nelle Rationes Decimarum, pubblicate nel 1939, quando ancora anche storici degnissimi pensavano che allorché nei documenti medievali si trova scritto "Palagiano" si tratta della città che oggi porta questo nome.
Non era ancora uscito il mio volume sulle chiese rupestri di Palagianello che, nel 1980, revocò in dubbio, per ragioni archeologiche, quella identificazione, né ancora Roberto Palmisano aveva scoperto nell’Archivio di Cava dei Tirreni il documento nel quale si dice che "quelli che sanno" ricordano che il villaggio ora chiamato Palagianello era chiamato precedentemente Palagiano Vecchio, né Giulio Mastrangelo aveva trovato ancora, nell’Archivio dell’Insigne Capitolo di Massafra un documento nel quale il Capitolo medesimo afferma di possedere "nel casale vecchio di Palagiano" la chiesa di San Donato, pervenuta per donazione di un sacerdote di rito greco, l’ Archipresbitero Donato.
Dato che non esiste nessuna prova archeologica nel territorio oggi di Palagiano dell’esistenza di un insediamento per il periodo che va almeno dal 500 al 1300 dopo Cristo, la mancanza di prove è una prova inconfutabile del fatto che l’odierna Palagiano non esisteva nel Medioevo, almeno fino agli inizi del XIV secolo e forse oltre..
Dato che l’odierna Palagiano non esisteva, tutti i documenti medievali sino al Trecento che citano il sito di Palagiano si riferiscono, per conseguenza, al villaggio rupestre nella Gravina oggi detta di Palagianello, ivi compresa la citazione del Vendola nelle Rationes Decimarum a proposito del clero greco Palaiani.
E, questa, è una prova principe ed inconfutabile, sulla quale si basa la mia affermazione. Sicché, e mi dispiace per lui, è in errore il Putignano quando dice che io affermo quello che affermo "Senza alcun supporto documentario".
Senza alcun supporto documentario sono invece le tesi dei negazionisti, che non hanno prodotto sin ora un solo reperto archeologico di età medioevale per il territorio oggi pertinente al Comune di Palagiano (e non possono farlo, perché nella palude l’uomo non puo’ avere insediamenti stabili) né alcun documento scritto che dimostri in maniera inconfutabile quello che loro affermano, vale a dire che – secondo alcuni – la città di Palagiano di oggi deriva direttamente da un insediamento romano o, secondo altri, è stata fondata intorno al 900.
Le storie dell’inattendibile e fabuloso Marciano, che non è certo una fonte credibile, che dicono che nel Quattrocento nuclei di Albanesi (ne parlai nella conferenza a Palagiano, sono quelli venuti con Scanderbeg negli anni sessanta del Quattrocento) si sono stanziati nel luogo dell’attuale Palagiano ed erano Ortodossi di rito greco, non smuovono di un millimetro il fatto che, oltre un secolo prima, il clero greco fosse nell’unico villaggio di Palagiano allora esistente, quello rupestre nella gravina di Palagianello.
E il fatto che le fonti in cui si parla di Palagiano Vecchio siano tarde, di quando il nuovo villaggio, parzialmente rupestre, sorto ai margini della Gravina e non nel cuore di essa, come quello antico di Palagiano, si chiamava già Palagianello, significa solo che era – come è nella realtà – un’entità demica distinta da Palagiano Vecchio. Ed il documento dell’Archivio Capitolare di Massafra che parla della chiesa di San Donato a Palagiano Vecchio e del suo fondatore, un arciprete di rito greco, non ci dice a quando risale la fondazione, che puo’ essere vecchia di secoli, e non avere, quindi, niente in comune, dal punto di vista cronologico, col Pittaggio San Donato di Palagiano, attestato nei Catasti Onciari settecenteschi, che puo’ aver preso il nome da una cappella di San Donato esistente, secondo il Carucci, nel 1324 (data molto sospetta, perché è quella delle Rationes) scomparsa nel tempo. Pensare che si debba tradurre la frase "quae est extra moenia terre paligiani in casali veteri" "situata fuori delle mura della terra di Palagiano in un vecchio casale" è una rozza forzatura per costringere il testo, che parla del Casale Vecchio di Palagiano a significare che si tratta di un pittaggio di Palagiano (Nuovo). Il testo avrebbe avuto bisogno almeno di un "quodam" che non c’è. E una cosa è Casale altra cosa è Pittagium.
E costringere la chiesa di Palagiano Vecchio posseduta forse da secoli prima del Cinquecento dal Capitolo di Massafra ad emigrare a Palagiano Nuovo, adducendo come prova il fatto che agli albori del XVII secolo il priore di una cappella si chiamasse Donato ha lo stesso valore di prova che avrebbe il volerla vedere traslata a Massafra solo perché, nell’Ottocento, c’era lì mio nonno, consigliere comunale e appartenente all’Arciconfraternita del Sacramento, che si chiamava Donato anche lui.
Via, noi che stiamo lavorando ad una storia d’area vasta, della parte occidentale dell’attuale Provincia di Taranto (Franco Dell’Aquila ed io in prima fila, altri studiosi seri, come Giulio Mastrangelo e Domenico Caragnano di vigoroso rincalzo) non possiamo certo stracciarci le vesti se, mentre tutto il mondo scientifico accetta le nostre conclusioni, basate su solidissime prove, frutto di ricerche sul terreno e in Archivi, c’è un nucleo irriducibile di negazionisti arroccato in Palagiano, al quale io avevo offerto l’occasione di lavorare insieme e vedo che, in parole povere, l’offerta è stata respinta, perché all’accertamento della verità storica si preferisce l’arrampicarsi sugli specchi del nulla in un anacronistico e sterile amor di campanile che non porta da nessuna parte.
Con buona pace di Don Donato Calabrese, di Palagiano, priore della Cappella dell’Annunziata di Mottola agli albori del XVII secolo, la chiesa di San Donato (non necessariamente una chiesa rupestre) posseduta ancora nel Cinquecento dal Capitolo Insigne di Massafra era a Palagiano Vecchio, e Palagiano Vecchio è più antico di almeno sette o ottocento anni rispetto a Palagiano Nuovo.
Piaccia o non piaccia ai Catasti Onciari settecenteschi.
E, nel caso che esistesse realmente un documento del 1050, che viene di frequente citato ma nessuno ha finora visto pubblicato, in cui si parla di Palagiano e Palagianello, questo significherebbe soltanto che anche il villaggio e il toponimo di Palagianello sono più antichi di Palagiano Nuovo, e quell’ipotetico documento ci darebbe solo notizia di un villaggio rupestre più piccolo (Palagianello, appunto) gemmato dall’unico Palagiano esistente nel primo Medioevo, quello rupestre più grande, che incominciò ad essere chiamato Palagiano Vecchio solo dopo la fondazione, nel basso Medioevo, di un Palagiano Nuovo, che sarebbe posteriore, quindi, non solo a Palagiano Vecchio ma anche a Palagianello.
Perché l’unico dato archeologico certo che abbiamo è quello che ci dice che nel 1050 l’attuale Palagiano non era ancora esistente, mentre era vigorosamente vivo e vitale il Palagiano rupestre nella Gravina. Col suo clero greco, come attestano iscrizioni greche nelle sue chiese rupestri, già da me pubblicate trent’anni fa.
Ma dobbiamo forse prendercela coi negazionisti di Palagiano se non credono a quello che è sotto gli occhi di tutti? No di certo. Coi tempi che corrono, sopportiamo perfino la presenza di negazionisti dell’Olocausto, a malgrado delle centinaia di migliaia di documenti e testimonianze che ne dimostrano l’orribile reale esistenza. Certo, i negazionisti dell’Olocausto hanno almeno la non esaltante giustificazione di essere neonazisti o neofascisti ed antisemiti, patetici rigurgiti di fogna. I negazionisti di Palagiano, però, ma questa è una fortuna per loro e per noi, non hanno nemmeno questa squallida giustificazione.
Roberto Caprara
Fonte: www.palagiano.net