ALL’AMICO GIOVANNI CARUCCI, FINE DI UNA POLEMICA

Caro Giovanni, ho letto in ritardo la tua amplissima e scontata risposta alla mia lettera aperta e mi scuserai se rispondo a mia volta con ritardo e, per una doverosa informazione dovuta ai Palagianesi, come ho già fatto altra volta, invierò questa lettera a entrambi i giornali on-line della Città.

. E ti chiedo scuse anticipate se, con questa lettera, considero definitivamente conclusa, almeno da parte mia, una polemica che, nella mia ottica e nell’ottica di tutti gli storici che non hanno ragioni di campanile da difendere è inutile e pretestuosa. E, fra l’altro, devi ammettere che ci sono questioni scientifiche più importanti da affrontare – e a cui dedicare tempo -  che quella riguardante la eventuale – ma assai improbabile - esistenza di un villaggetto in mezzo alla palude qualche decennio prima del XIV secolo..

Tu ti ostini a chiamare “teorema Palmisano-Caprara” quelle che sono solidissime prove, contro le quali non ci sono bizantinismi verbali che possano costringerle a significare altro che quello che dicono: “Quello che oggi è chiamato Palagianello, come dicono quelli che sanno queste cose, si chiamava prima Palagiano Vecchio”. E se ci fu bisogno di chiamere Vecchio un Palagiano, è solo perché era nato un Palagiano Nuovo: e quello che è nuovo è – fuori di ogni discussione – venuto dopo quello che è vecchio. Questo dicono i documenti, e il resto sono chiacchiere vuote.

E Palagiano vecchio è lì, nella Gravina, con le sue case, le sue chiese con iscrizioni greche (e quindi ebbe un clero greco e un arciprete greco che donò la chiesa di San Donato in casali veteri), le sue centinaia di reperti medievali, a sostenere la tesi scientifica (e non teorema), basata sulle prove, di Palmisano e Caprara.

Teorema – indimostrabile, peraltro – è il tuo, caro Giovanni, che sta nella fideistica attesa che un giorno, magari nel tremilacinquanta, si scopra, sotto l’attuale Palagiano, una nuova Pompei, di cui, peraltro, finora, non c’è traccia ed è assai improbabile (ma avrei dovuto scrivere impossibile) che questa nuova Pompei venga alla luce, perché lo negano, prima ancora dell’archeologia, la geologia e l’idrogeologia: dove oggi è Palagiano per mille anni c’è stata la palude e nell’atmosfera mefitica e malsana della palude non possono esserci paesi. E la palude, che fu così imponente da cancellare la via Appia sotto una spessa coltre di fango, fu aggirata a ben ragguardevole distanza dal sito dove tu vorresti Palagiano nel Medioevo dalla nuova strada che va col nome di Itinerario di Guidone che la descrisse nel XII secolo, di cui il tracciato puoi trovare riportato in una tavola nel bel libro di Giambattista Sassi, Ginosa normanno-sveva,  edito nel 2004 dalla Biblioteca Civica Ginosina. Ora è da escludere che il Sassi, solo per aderire al “teorema” della congiura antipalagianese (secondo la miope visione che della verità hanno gli storici ottusamente campanilisti ed acritici) di Palmisano e Caprara abbia deciso di compromettere la sua credibilità scientifica facendo escludere da quel tracciato il sito ove oggi è Palagiano, così come aveva fatto, almeno trent’anni prima, uno studioso della caratura di Giovanni Uggeri.

Questi sono fatti, caro Giovanni, contro i quali le chiacchiere restano chiacchiere.

Io non ho altro da aggiungere e non voglio aggiungere altro. Tu prometti di scrivere un libro per confutare le affermazioni del povero Roberto Palmisano e mie. Ben venga il libro: lo aspettiamo, anche se temo che saranno soltanto parole, fiumi di inutili parole contro i nostri fatti nudi e crudi, che parlano da sé. E, nella scienza, contano i fatti: documenti, reperti archeologici, iscrizioni, monumenti. Le parole sono solo fantasie di poeti.

E tu dovresti dimostrare nientemeno che, quando Palagiano era, nel Medioevo,   quella città fiorente nella palude che tu immagini nei tuoi sogni, solo per fare dispetto a te e sostenere il “teorema” di Palmisano e Caprara venne abbandonata l’Appia e tracciata una nuova strada lontana da Palagiano, che venne – quindi – escluso dai traffici. E che il villaggio rupestre nella Gravina si chiamava già allora Palagianello, cosa di cui non si hanno documenti, mentre – solo per fare dispetto a te e sostenere il “teorema” di Palmisano e Caprara – in due distinti archivi ci sono documenti che lo chiamano Palagiano Vecchio e prima ancora Cinnamo Calligrafo (un greco, dunque, come poi l’arciprete) versava imponenti tasse per quel villaggio che si chiamava, vedi caso, Palagiano..

Impresa titanica, caro Giovanni. I fatti hanno una loro forza, contro la quale le parole, per quanto agghindate e suadenti come meretrici, non riescono ad avere ragione.

Solo non vorrei,  perché ti voglio sinceramente bene, che in questa tua difficilissima (non l’ho scritto, ma ho pensato “impossibile”) e disperata difesa di una causa persa tu dovessi apparire a qualcuno come quel soldato giapponese rimasto solo nella giungla che, a vent’anni dalla fine della guerra, credeva ancora di dover continuare a combattere e che il Giappone potesse, un giorno, vincere quella guerra.

Ma a quel soldato nessuno aveva detto che la guerra era finita ed era stata persa. A te, invece, fornendoti un’amplissima gamma di spunti di riflessione – frutto della mia lunga esperienza in Italia e fuori – che tu ti ostini a ignorare, io l’ho già detto più volte. Solo che tu non vuoi ammettere di averla perduta. Ma tutto il mondo scientifico lo sa.

Onestà scientifica avrebbe voluto che, quando, dopo che io nel 1980 posi la questione dell’identità negata di Palagianello e Roberto, qualche anno appresso, trovò le prove che restituivano quell’identità, anche gli storici di Palagiano fossero ben lieti della cosa, che liberava dalle nebbie della leggenda il loro paese e lo collocava nella severa dignità della storia, anche se in una dimensione diversa da quella da loro sognata. Caro Giovanni, piaccia o non piaccia, i soli veri storici di Palagiano siamo Roberto Palmisano ed io. Voi, palagianesi, siete solo affascinanti narratori di favole e di sogni, che non pubblicate documenti ed anzi qualcuno di voi li nasconde, perché temete che contraddicano quelle favole.

E attendo sempre che tu pubblichi il documento del 1050, che né io né altri conosciamo, ribadendo che, se a quella data si parla di Palagiano, il centro chiamato con quel nome è il villaggio nella gravina e non quello che oggi è chiamato così, che allora non poteva esistere perché lì imperava la palude.

Fine della inutile polemica.

Con affetto

                                               Roberto Caprara