L’inizio di un imponente processo di trasformazione economico- produttiva della Puglia, e più in generale del Sud, si verificò agli inizi dell’estate di mezzo secolo fa con la decisione della Finsider, Società finanziaria del gruppo IRI (Istituto per la ricostruzione industriale), di dar luogo ai lavori per la costruzione del IV Centro siderurgico a Taranto. La decisione era conseguente alla scelta della presidenza del Consiglio dei Ministri di destinare al meridione il 60% degli gli investimenti per i nuovi impianti industriali; e fu assunta tre anni prima su iniziativa di Giulio Pastore, ministro per il Mezzogiorno e di altri esponenti pugliesi e lucani della Democrazia cristiana, tra cui Emilio Colombo. 

Le scelte politiche si saldavano con le esigenze economico-produttive, considerato il balzo in avanti della produzione di acciaio che aveva superato nel 1959 tre milioni e mezzo di tonnellate, con una previsione per il quinquennio successivo di oltre sette milioni di tonnellate. I vantaggi per le imprese italiane che riuscivano ad ottenere acciaio a prezzi minori fu considerevole. Il tasso di crescita economica nazionale tra il 1958 ed il 1962, infatti, toccò punte elevatissime superando anche il 6 per cento. 

Frigoriferi, lavatrici, automobili, macchine da scrivere venivano prodotti ed esportati nei paesi della Comunità economica europea grazie alla liberalizzazione degli scambi, senza considerare l’ampliamento del mercato interno e la conseguente rivoluzione dei consumi. Pur in assenza di una organica pianificazione, in questo periodo l’Italia si dotò di importanti infrastrutture: come le autostrade che modificarono il volto del Paese, le relazioni tra le diverse regioni italiane e tra queste ed il resto dell’Europa. In questa fase si collocarono le politiche espansive dell’ENI ed i grandi accordi internazionali, tra cui la fornitura di tubi di acciaio all’Unione sovietica. 

Per gli impianti di Taranto si prevedeva la realizzazione di un tubificio e di una moderna acciaieria: essi furono ultimati nei tempi previsti, il primo nell’ottobre del 1961 ed il secondo nel novembre del 1964. Nei due anni che precedettero la realizzazione dello stabilimento siderurgico, si era sviluppato un intenso dibattito non solo nelle aule parlamentari ma anche nella realtà locale con riunioni straordinarie del consiglio comunale di Taranto e con convegni e manifestazioni nazionali organizzati dalla Dc e dal Pci, dalle Camere confederali del lavoro e dalla Camera di Commercio. Protagonisti, tra gli altri, di un dibattito sulle politiche di intervento dello Stato nel Mezzogiorno furono gli onorevoli Colombo per il partito di maggioranza e Giorgio Napolitano, attuale presidente della Repubblica, per il Pci. L’esponente comunista pose, infatti, con chiarezza le basi per il responsabile atteggiamento dell’opposizione di sinistra (diverse riserve affiorarono dalla base della Cgil) di fronte alla delicata questione delle localizzazioni industriali. 

La prima pietra del «mostro d’acciaio» fu posta il 9 luglio del 1960 alla presenza di monsignor Alfonso Motolose (allora vescovo ausiliario di Taranto, in seguito arcivescovo), che ebbe un ruolo non secondario nel veicolare le decisioni imprenditoriali e politiche per la scelta del capoluogo ionico, grazie al suo stretto legame con il cardinale Siri di Genova. Con lui c’erano i ministri Colombo e Ferrari Agradi, i vertici dell’IRI, della CECA (Comunità europea del carbone e dell’acciaio), nonché l’intera classe dirigente ionica, tra cui il sindaco del capoluogo Angelo Monfredi, l’on. Raffaele Leone ed il segretario provinciale della Dc Mario Mazzarino, tutti accesi sostenitori della localizzazione a Taranto del IV Centro siderurgico. Tuttavia l’inizio della costruzione del Centro siderurgico, che l’anno dopo assunse il nome di Italsider (nata dalla fusione dell’Ilva e di Cornigliano e dall’aggregazione di altre aziende), non ebbe una forte eco nazionale a causa dell’assenza del presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, alle prese con la crisi del governo Tambroni, dopo i fatti di Genova e le proteste dei partiti democratici per la violenta repressione poliziesca delle manifestazioni antifasciste di quei giorni. 

Nel resto della regione, soprattutto nel capoluogo le vicende dell’industrializzazione tarantina produssero un primo impatto non favorevole con atteggiamenti polemici degli amministratori della Provincia di Bari, della Camera di Commercio e di settori della Democrazia cristiana. La stessa situazione si determinò a Lecce, ma l’abile mediazione di Aldo Moro a livello nazionale e locale che mise in luce i vantaggi per l’intero sistema produttivo regionale, sgombrò il campo dagli inizi di una vera e propria guerra di campanile. 

Con la costruzione della prima grande fabbrica della regione e di tutto il Sud emergevano, però, le insufficienze e le impreparazioni della città di fronte ai processi messi in moto dell’industrializzazione accelerata, tra cui il ritardo dell’entrata in funzione dell’ASI (Area di sviluppo industriale), l’urbanizzazione selvaggia, l’isolamento della campagna. In un incisivo reportage realizzato nel 1972, Antonio Cederna - preannunciando di alcuni aspetti della catastrofe ecologica dei decenni successivi - denunciò i profondi guasti prodotti dalla febbre dell’acciaio, con quartieri «senza un filo d’erba, senza una piazza, un’area pedonale».
 Taranto - concludeva l’illustre giornalista, pioniere delle battaglie ambientaliste - «è la smentita di ogni decenza urbanistica».

 

Fonte: www.lagazzettadelmezzogiorno.it