Nel ricordare l’alluvione dell’8 settembre 2003, e quanto da allora è stato fatto per riportare il paese alla normalità, la prima cosa da mettere in risalto è la dignità e la forza con la quale la nostra gente ha vissuto quei terribili momenti, come non vanno dimenticati gli sforzi di tutti coloro che, a vario titolo, prestarono la propria opera nel portare soccorso a chi era stato duramente colpito. Abbiamo voluto privilegiare la voce di alcuni dei più importanti protagonisti, di coloro cioè che, o per aver diretto i lavori di soccorso e di ripristino, o per essere stati direttamente colpiti dall’alluvione, sono i più titolati a tracciare un bilancio delle cose fatte e da fare. Parlando dell’alluvione, abbiamo creduto utile inserire anche un intervento dell’ing. Rino Pucci, che ci ha fornito una descrizione dello stato idrogeologico del nostro territorio, e di cosa si potrebbe fare in futuro per evitare il ripetersi di simili calamità.                      

Intervista alla dott.ssa Lella Granata  
Dott.sa Granata, lei era responsabile del Centro di prima accoglienza: come si organizzò?
 Non avendo ancora piena consapevolezza delle priorità da effettuare, feci subito un giro per il paese, accompagnata dai militari della Marina e dell’Esercito. Mi resi così conto che in primis serviva l’acqua potabile, unitamente ai viveri di prima necessità ed agli indumenti, specie quelli intimi. Comunicai tutto al C.O.C. (Centro Operativo Comunale), che inviò una autobotte con l’acqua potabile, che personalmente distribuii per il paese. Mi recai inoltre in alcuni negozi, che ringrazio per aver fornito la merce che necessitava, pur sapendo che non avrebbero subito ricevuto i soldi, merce che distribuii con i mezzi fornitimi dalle Forze Armate e dal 118. Contattai i parroci che, tramite la Caritas, ebbero un ruolo importante nel reperire e distribuire la merce di cui si aveva bisogno. Un grazie particolare va al Vescovo  Fragnelli, che giunse subito in paese, portando con sé friselle, pane, olio e pomodori, e con lui mi recai al Centro di prima accoglienza, dove ebbe parole di conforto per tutti. Meritevole è stata anche l’opera di don Salvatore Casamassima, con cui mi recai nelle zone più colpite per portare cibo ed indumenti da lui procurati tramite la Caritas. Sempre tramite la Caritas, fu anche possibile lavare alla gente gli indumenti sporchi. Quando poi arrivò la cucina da campo della Marina Militare, iniziammo a distribuire 1.200 pasti al giorno. Ogni mattina mi alzavo alle 5,30 ed andavo al Centro, ed ho sempre avuto completa autonomia nel dirigere e coordinare i lavori. Operavamo non solo nel paese, ma anche a Chiatona e nelle campagne. Notevole fu anche il contributo che diedero le associazioni di boy scout, che erano “le mie braccia e le mie gambe”. Creai, infine, con l’aiuto di alcune volontarie, non appartenenti ad alcuna associazione, un centro per la distribuzione degli indumenti, ubicato in una aula scolastica. Furono distribuiti anche dei materassi, forniti dalla Prefettura e dalla Croce Rossa, che mi fu di grande aiuto. 
Come stabilì le priorità di intervento? Valutando i danni che la gente aveva subito, danni che verificavo anche con l’aiuto di Anna Maria Galiano, Ispettrice della Croce Rossa. Non va trascurato che la gente, oltre all’aiuto materiale, aveva anche bisogno di sentirsi non abbandonata dalle istituzioni, per cui parlavo molto con loro. 
Come visse il contatto con la gente? Confidando nel mio essere cristiana, che mi consentì di infondere serenità e fiducia in coloro che soffrivano, anche se a volte la stanchezza si faceva sentire, ma il pensare ai miei concittadini che avevano perso tutto, mi dava la forza di andare avanti. 
Che tipo di collaborazione ebbe dalle varie associazioni? Ottima! e non elenco le varie associazioni perché correrei il rischio di dimenticarne qualcuna. Senza però far torto a nessuno, vorrei citare il grande aiuto offertomi dalla vigilanza campestre, che mi scortava e mi guidava nel giro per l’intero territorio, giorno e notte. 
Cosa le è rimasto di quella esperienza? Aver vissuto la politica come servizio rivolto alla gente, perché per oltre 20 giorni, con i miei colleghi dell’amministrazione, dimenticammo le nostre case, le nostre famiglie, dedicandoci ad una famiglia ben più vasta: i nostri concittadini.                                                                                                                                                                  
Famiglia Goffredo: risponde la signora Grazia
 
I coniugi Cosimo Goffredo, di 51 anni, e la moglie Grazia Bardaro, di 48, 4 figli, abitavano in Zona San Rocco n. 18. Attualmente vivono in affitto, in attesa che la loro casa devastata dall’alluvione sia ristrutturata. Manca poco ormai, ma anche se i lavori di ripristino non sono ancora ultimati, vogliono ritornarci subito per riprendere  parte di quella normalità persa l’ 8 settembre.         
La mattina dell’8 settembre 2003, in quale momento si rese conto di quanto stava accadendo? Intorno alle 13, nostro figlio era appena tornato dal lavoro, ci accingevamo a pranzare. La pioggia cadeva persistente, ma non riuscivamo ancora a renderci conto effettivamente di cosa stesse accadendo. Mi recai nel cortile interno, e mi accorsi che  l’acqua aveva raggiunto i 10 cm: tentai di raccoglierla, ma appena la versai nel water, l’acqua fuoriuscì di getto. Contemporaneamente sentimmo un forte boato, e lo spavento fu tanto che pensai si trattasse del terremoto. Quasi contemporaneamente seguì un boato ancora più forte: “ Un maremoto!”, urlò mio marito. La porta d’ingresso dell’abitazione e della cucina furono divelte, acqua, fango, detriti, penetrarono in casa, e salivano, continuavano a salire e a devastare anni e anni di sacrifici. Nostra  figlia tentò di telefonare al 113 sia con il suo cellulare che con il telefono fisso, senza alcun successo. L’acqua continuava intanto a salire, e mi trovai immersa fino alla cintura: mi sembrava un sogno da cui volevo svegliarmi, ma non ci riuscivo, salimmo sulle scale che portano in terrazza, e lì rimanemmo; di tanto in tanto andavamo sul terrazzo, sperando di attirare l’attenzione di aerei e elicotteri che sorvolavano la zona. Verso le 22  venne l’altro mio figlio, che ci prestò i primi soccorsi. Ci sono voluti 20 giorni per svuotare la casa dall’acqua e dal fango.  
Cosa provò in quelle terribili ore? Temevo che la casa crollasse, perché arrivavano fortissime ondate di acqua e fango, mentre l’acqua aveva raggiunto 1,5 metri di altezza.
Signora Grazia, cosa prova ora durante un temporale? Tantissima paura, i primi tempi ero così terrorizzata che sognavo continuamente l’alluvione, non riusciamo ancora a superare quel trauma, penso che ci vorrà del tempo. Quando ci trasferiremo nella nostra casa, non dormiremo più a piano terra, ma al primo piano.  
Quali danni avete subito? I danni sono stati ingenti. Le ondate di acqua crearono un vortice sotto il pavimento, perché fu spazzata via la terra su cui poggiava uno dei pilastri della casa, per cui cedette il pavimento risucchiando le pareti divisorie. Perdemmo praticamente tutto, vestiti, elettrodomestici e mobili, con altre cose a noi care. Parte della nostra vita è scivolata via insieme al fango. 
Avete ricevuto finanziamenti?Abbiamo ricevuto 30.000 euro, e 400 euro al mese fino a febbraio 2004.  
Ritenete che l’Amministrazione abbia fatto quanto era in suo possesso fare? Inizialmente eravamo scettici e sfiduciati, adirati con tutto e con tutti ma, passato il periodo di tensione, ci siamo resi conto che dobbiamo ringraziare di cuore il Sindaco Ressa per esserci stato sempre vicino, non facendoci mai mancare il suo sostegno, non solo materiale, ma anche morale. 
Avete consigli da dare all’Amministrazione? 
 Consigli? non spetta a noi dare consigli, non solo perché non possediamo le nozioni tecniche per farlo, ma anche perché riteniamo che il Sindaco Ressa abbia dimostrato di essere una persona attenta e responsabile, in grado di provvedere alla sicurezza dei cittadini. Ricordo che una volta ci disse: ” Vi ammiro molto, perché avete saputo affrontare con dignità il disastro di cui siete stati vittime”.                           

Intervista a Francesco  L’Erede, 60 anni, agricoltore  
Quali danni le ha provocato l’alluvione? 
I danni sono stati rilevanti, avendo i terreni ubicati in Zona Calzo (Lama di Lenne). 
A quanto ammontano? A 110.000 euro. 
Può specificare la natura dei danni subiti? Alberi divelti, mura di contenimento distrutti, intasamento dei canali nel sottosuolo per il drenaggio delle acque sorgive, canali che evitano di trasformare il clima della zona in paludoso. 
Che tipo di aiuto ha finora ricevuto? Non ho ricevuto nessun tipo di aiuto. 
Quali promesse le sono state fatte per il futuro? Il Commissario Straordinario Capriolo, su sollecitazione dell’Amministrazione Comunale, ha promesso che sarebbe intervenuto anticipando parte dei danni ricevuti, in ottemperanza alla L. 185. 
Che consigli darebbe per evitare il ripetersi di quanto accaduto? Non è mio compito dare consigli, io sono un agricoltore: spetta ad altri provvedere affinché simili disastri non si ripetano. 
Quali domande ha presentato per il rimborso dei danni ricevuti? 
Le pratiche per il rimborso dei danni ex L. 185 non sono state ancora completate; ho inoltrato una relazione tecnica dove ho segnalato al Comune i danni ricevuti, danni che riguardano non solo il prodotto perso, ma anche le infrastrutture esistenti sui terreni. Voglio inoltre precisare che la perdita del prodotto derivante dagli alberi divelti, non è qualcosa che può essere subito recuperato, perché occorrono anni prima che la pianta ritorni ad essere produttiva.                                                                

Intervista a Vincenzo Resta, commerciante  Vincenzo Resta, anni 32, discount Sosty, via Piccinni n.97. 
Quali danni le ha provocato l’alluvione? Sono stati distrutti 5 frigoriferi, un computer, 3 registratori di cassa, 3 scanner, 2 gruppi elettrogeni, l’intonaco, tutta la merce giacente in magazzino e gran parte di quella che stava nel negozio. Si parla di danni valutabili intorno agli 85.000 euro. 
Che tipo di aiuto ha finora ricevuto? Solo morale. 
Quali promesse le sono state fatte per il futuro? Che il 30% dei danni ci verrà restituito, ma le speranze sono poche.
Che consigli darebbe per evitare il ripetersi di quanto accaduto? Prima di darci i soldi, fare in modo che non accadano più disastri simili: questa è davvero la cosa più importante. 
Quali domande ha presentato per il rimborso dei danni ricevuti? Presentai una domanda ad ottobre 2003, ed una recentemente. 
Le risulta che qualche commerciante abbia ricevuto dei soldi? No. 

 Intervista al dott. Rocco Ressa, Sindaco di Palagiano  
Dott. Ressa, la mattina dell’8 settembre 2003, quando si è reso conto di cosa stava accadendo, cosa ha fatto? Quel tragico giorno, fin dalle 09.00, la pioggia cadeva copiosa in paese, e per questo scesi dall’ufficio e feci un giro in macchina per verificare lo stato di alcune zone del nostro centro urbano più depresse, quelle che generalmente subiscono allagamenti preoccupanti. Due i punti che destarono la mia preoccupazione: Capovento e la zona del negozio di Gaballo Elettrodomestici, già allagate per diversi centimetri. Ritornai in ufficio, e contattai subito i Vigili del Fuoco e la Prefettura. Intanto continuava il nubifragio, che nelle successive due-tre ore isolò completamente il paese, senza che gli aiuti fossero ancora giunti.Nel frattempo avevo allertato tutti i Vigili Urbani, gli operai comunali e gli amministratori. Tutti muniti di stivaloni cercavamo di capire cosa stesse accadendo, e per quale motivo i soccorsi non erano ancora arrivati. Solo più tardi fummo contattati dalla Prefettura, che ci comunicò che tutte le strade di accesso al paese erano impercorribili.Intanto la situazione sfuggiva ad ogni controllo, i cittadini erano in preda alla disperazione, e già a mezzogiorno erano centinaia le abitazioni invase dall’acqua, ma quello che più ci spaventava erano le notizie dei dispersi nelle campagne, anch’esse invase dall’acqua, e dei cittadini isolati nelle periferie e nelle marine che attendevano gli aiuti sulle terrazze. In quel momento, cercai di fermare tutti coloro che con le auto passavano per il viale, chiedendogli di procurarsi o di contattare i possessori di fuori strada, di trattori o pale meccaniche, in quanto le zone della campagna non erano raggiungibili con le normali automobili. Nelle prime due ore, dunque, il mio impegno fu quello di organizzare i soccorsi, per tentare di mettere in salvo quanta più gente possibile. I Vigili giravano nel paese dove sapevamo esserci anziani e disabili che potevano essere in gravi difficoltà, ed infatti diversi cittadini non autosufficienti furono salvati in diverse zone del paese. Così come anche intere famiglie a Chiatona. Intanto la situazione peggiorò tanto che nelle campagne si poteva giungere solo a fatica, e solamente con le ruspe.I soccorsi ancora non giungevano, perchè erano tutti impegnati ad aprire varchi per consentire il trasporto di feriti negli ospedali. Ricordo che perfino gli elicotteri avevano difficoltà a raggiungere alcune abitazioni per mettere in salvo cittadini che, terrorizzati, si erano rifugiati sulle terrazze. Attendemmo i mezzi anfibi delle Forze Armate per poterli mettere in salvo. Nel contempo, centinaia e centinaia di cittadini chiedevano aiuto per gli allagamenti subiti. Infatti, molti pensavano che si fosse trattato di una situazione locale, e per questo erano anche molto arrabbiati. Solo l’indomani si resero conto che quasi tutto il paese era finito sott’acqua, e che pertanto l’Amministrazione ed il Sindaco non avrebbero mai potuto essere presenti dappertutto, anche perché, personalmente, avevo il compito ed il dovere di organizzare i soccorsi dandomi delle priorità. La priorità assoluta era quella di mettere in salvo i cittadini e di organizzare i soccorsi. Questo è ciò che feci. Solo in serata, alle 19.00, arrivò il primo mezzo di soccorso, una idrovora del Corpo Forestale dello Stato, e subito dopo, e per tutta la notte, giunsero finalmente centinaia di volontari da più parti d’Italia, e centinaia di uomini delle Forze Armate, che allestirono un ospedale ed una cucina da campo, e cominciarono a tirare l’acqua dalle case e dagli scantinati. Molti cittadini si unirono ai volontari a prestare la loro opera solidale nei confronti del paese e di tutti i suoi abitanti. All’indomani organizzai, con l’aiuto della Protezione Civile Nazionale, il C.O.C., il Centro Operativo da cui guidavo personalmente i soccorsi, in stretto contatto con il C.C.S., Centro Coordinamento Soccorsi, insediato nell’unità di crisi della Prefettura.I primo tre giorni li trascorsi tutti nel C.O.C. senza chiudere gli occhi neppure per un’ora, solo la quarta notte i militari mi pregarono di riposarmi e mi offrirono una loro branda. Inutile dire che riposai per modo di dire, tante erano le preoccupazioni e le cose che ancora restavano da fare. In ogni caso, dormii per due-tre ore.  La sera dell’8 settembre, ero in piazza insieme a tanti cittadini: il paese era al buio, le vie di comunicazione interrotte, e si aveva l’impressione che tanti reduci si ritrovassero dopo una lunga guerra. Cosa ha provato in quei momenti l’uomo Ressa e il Sindaco Ressa? Nulla. Non erano in preda né alla disperazione né alla rabbia, avevo il dovere di non farmi sfuggire la situazione di mano, dovevo mostrare a me stesso ed agli altri tutto il mio sangue freddo, la mia determinazione, guai se mi fossi fatto prendere dalla debolezza, da tentennamenti, dallo scoramento. Più che un uomo, per i primi giorni ero diventato un robot, un macchina fredda ed insensibile. Dovevo lavorare e fare in modo che il paese ritornasse per quanto possibile alla normalità. Solo quando mi recai in chiesa, e vidi la gente insieme a don Rocco, da poco insediato nella parrocchia, a spazzare, allora, per un attimo crollai e, di nascosto, scoppiai in un pianto a dirotto. Don Rocco se ne accorse e, con molta discrezione, mi colpì la spalla dicendomi:”Coraggio, se crolliamo anche noi è finita”. Non ho mai ringraziato don Rocco per quella pacca sulla spalla, lo faccio oggi in questa intervista. 
Qual’era il compito delle sede operativa, ubicata nella Scuola Elementare Rodari? La Sede Operativa aveva il compito di organizzare i soccorsi, di prendere nota di tutte le richieste di aiuto, e di organizzarle dando delle priorità.
Inoltre, il Centro Operativo aveva il compito di ordinare tutto il materiale alimentare, di soccorso utile per i cittadini e per il ripristino urgente di alcune infrastrutture. Ogni cosa che accadeva era ordinata dal C.O.C. 
Quali interventi furono effettuati per prima?Quando la macchina dei soccorsi fu completa, già nella mattinata del 9 settembre centinaia di idrovore, di camion, ruspe, autocisterne, macchine per la raccolta delle masserizie e per la pulizia delle strade, erano all’opera per aiutare i cittadini più colpiti, a ripulire le proprie abitazioni soprattutto dall’acqua e dal fango. Questo lavoro proseguì per circa 20 giorni. Infatti, dopo 20 giorni, il paese era ritornato ad una sufficiente normalità, tanto che anche le scuole potettero riaprire con soli due giorni di ritardo.
La Scuola Elementare Giovanni XXIII fu trasformata in Centro di prima accoglienza: chi vi operava, e su cosa interveniva? All’interno della Scuola Elementare ospitammo i senza casa, ed allestimmo la cucina da campo e l’ospedale militare, grazie alla collaborazione della Marina Militare e dei medici del 118.Gli Amministratori dirigevano, assieme ai volontari e ai responsabili dei corpi militari, questi servizi. Il Centro di prima accoglienza restò attivo solo i primi giorni, perché successivamente gli sfollati furono ospitati dai parenti o negli alberghi della città. La cucina e l’ospedale restarono invece aperti per circa un mese.
Come era assicurato il raccordo tra i due Centri? Come ho già detto, nulla accadeva se non autorizzato dal C.O.C., pertanto ogni struttura decentrata  era strettamente in contatto con il C.O.C. e seguita dai responsabili militari e dai volontari, coordinati da un assessore e da alcuni consiglieri. 
Lei, durante alcune riunioni, più volte ha battuto i pugni sul tavolo: ce ne vuole spiegare i motivi? Ho sbattuto i pugni sul tavolo perché mi ero parso che si chiacchierava molto, mentre c’era tanto lavoro ancora da fare, e poi perché il bollettino meteorologico che preannunciava il nubifragio, lo ricevetti solo il giorno dopo. A saperlo prima, forse non saremmo rimasti isolati per 12 lunghe ore, che a me sembrarono secoli.Ma poi, passati i primi giorni, ho messo al bando ogni polemica, seppure basata su sani presupposti, ed ho offerto tutta la mia collaborazione alle altre istituzioni, affinché si potesse lavorare insieme nell’interesse della collettività. 
Il Responsabile Nazionale della Protezione Civile Bertolaso promise che, dopo un anno, sarebbe tornato a Palagiano per verificare le cose fatte: crede che verrà e, nel caso venga, cosa le dirà? Credo di sì. Verrà. Non so se l’8 o più tardi, ma verrà. Cosa gli dirò?Che molto è stato fatto grazie all’impegno dei cittadini ed al lavoro dell’Amministrazione comunale, ma che non tutti gli impegni promessi, almeno finora, sono stati mantenuti. Mi aspetto il suo contributo per sbloccare gli aiuti in favore, soprattutto, delle attività produttive e del comparto agricolo, che finora non hanno ricevuto alcun tipo di aiuto, né dal Governo, né dalla Regione.
Ha qualcosa da rimproverare alle Istituzioni Provinciali, Regionali e Nazionali? Cosa vuoi che abbia da rimproverare! L’evento è stato così imponente ed improvviso che, con sana ragionevolezza, mi astengo dal rimproverare. Certo, se negli ultimi 20 anni il territorio fosse stato più salvaguardato, forse i danni sarebbero stati limitati. Ma la storia del passato è appunto remota, quello che importa è che nel presente e nel futuro non si commettano più gli errori di ieri e che, soprattutto, si faccia anche l’impossibile per mettere in sicurezza il territorio da ulteriori eventi simili a quello dell’8 settembre.Ecco, su questo vedo da parte delle istituzioni nazionali e regionali un pò di mediocrità. 
Ritiene  di aver fatto tutto quanto era in suo possesso fare?Il giudizio sul mio operato in quei tragici giorni, e in tutti questi mesi, lo lascio ai miei cittadini, ai cittadini della provincia che hanno collaborato con me, a tutti i  miei collaboratori e, soprattutto, a Colui che conosce tutto degli uomini e delle loro azioni. 
Allo stato attuale, qual è la situazione?  I miei uffici hanno completato le istruttorie per il rimborso ai cittadini dei danni subiti dagli immobili, dai beni mobili registrati e per i danni alle suppellettili di prima necessità.Stiamo per completare le istruttorie sui danni occorsi al settore produttivo (artigianato e commercio) e al comparto agricolo. Terminata la nostra istruttoria (nelle prossime 2 settimane), il tutto sarà trasmesso al Commissario Delegato, perché possa mettere a disposizione le risorse per il ristoro parziale o totale dei danni. 

Intervento di Evarista Capobianco, geologa.
L’eccezionale evento alluvionale che ha interessato il nostro territorio l’8 settembre del 2003 ha portato tutta la cittadinanza palagianese a riflettere sulle cause siano esse naturali e/o antropiche del dissesto avvenuto: sono stati tenuti incontri e dibattiti con esperti ed amministratori chiamati a dare una spiegazione a ciò che è accaduto ed una soluzione capace di evitare e/o mitigare i danni alle persone, al territorio e all’economia palagianese che deriverebbero se dovesse accadere un evento della portata di quello avvenuto lo scorso settembre.Si vuole nuovamente parlare di dissesto idrogeologico dato l’approssimarsi dell’8 settembre: non si vogliono sconvolgere gli animi di coloro che in prima persona hanno vissuto la pericolosità di un evento alluvionale ricordando il perché ed il come esso sia avvenuto ma l’intento è quello di informare e formare affinché proprio noi cittadini ci mobilitiamo costruendo non un territorio a grandezza d’uomo ma educando l’ uomo al rispetto e alla tutela dell’ambiente.Per dissesto idrogeologico si intende l’insieme di tutti i processi dovuti essenzialmente all’azione erosiva dell’acqua che determinano una situazione di disequilibrio e di instabilità del suolo o del sottosuolo: frane, erosione costiera,calanchi etc..; nel concetto, per un determinato territorio possono essere incluse le alluvioni, le valanghe e le subsidenze indotte.Per ciò che concerne le cause bisogna innanzitutto ricordare che vi è una vulnerabilità del territorio al dissesto idrogeologico determinata prevalentemente dalla litologia, dalla morfologia e dall’assetto strutturale: queste vanno classificate come cause predisponenti. Ad esse si associano le cause scatenanti che possono essere naturali quali intense ed eccezionali precipitazioni, ed antropiche legate alle profonde modificazioni del territorio indotte dall’uomo in seguito ad interventi di pianificazione territoriale ed infrastrutturali irrazionali e non sostenibili.Premesso questo, l’evento alluvionale che ha interessato il nostro territorio l’8 Settembre del 2003 è da attribuire alla vulnerabilità idrogeologica dell’area determinata da:§ un assetto morfologico che rende difficile il deflusso delle acque di ruscellamento verso mare e favorisce il loro ristagno e§ l’assenza di un reticolo idrografico superficiale sviluppato capace di smaltire ed incanalare le piogge provenienti dall’area murgiana retrostante facendo sì che il territorio funga da area di recapito. Da non escludere sono le modificazioni dell’andamento climatico locale nell’ambito del cambiamento globale del clima che continuamente viene denunciato da esperti e che richiede interventi sul territorio per mitigare la sua vulnerabilità ad eventuali dissesti naturali.Ad aggravare la vulnerabilità idrogeologica del nostro territorio contribuiscono le opere ferroviarie e stradali disposte perpendicolarmente alla linea di deflusso superficiale e l’urbanizzazione selvaggia nei fondovalle e lungo le lame che varia significativamente o addirittura impedisce il regolare deflusso delle acque di origine murgiana. A queste si associano:§ lo spietramento con conseguente scomparsa dei terrazzamenti che facilitano il ristagno dell’acqua e l’infiltrazione, così che il flusso delle acque superficiali verso il fondovalle sia minore e i tempi di deflusso siano più lunghi, e§ il disboscamento con conseguente perdita dell’azione equilibrante del manto forestale.Fenomeni di allagamento nel nostro territorio sono avvenuti negli anni scorsi :basti pensare a quelli avvenuti nell’ottobre ’66, nel settembre ’79, nell’agosto ’95 e nel gennaio ’96; sono stati fenomeni di allagamento che hanno interessato soprattutto le aree limitrofe al cento abitato in parte urbanizzate ed in parte utilizzate ai fini agricoli. Oggi l’eccezionale evento alluvionale dell’8 settembre del 2003 comporta la necessità di una attenta analisi della vulnerabilità idrogeologica del nostro territorio distinguendo le aree a maggiore rischio da quelle a minor rischio valutando ogni causa scatenante e/o predisponente di un dissesto naturale. 

Intervento dell’ing. Rino Pucci  
L’ing. Rino Pucci, oltre ad essere consulente della Provincia nel settore Ambiente ed Ecologia, ha vissuto in modo diretto i tragici eventi dell’alluvione dell’8 settembre 2003. Rappresenta quindi uno degli interlocutori più validi per descrivere cosa accadde in quel drammatico giorno, e quale sia l’aspetto idrogeologico del nostro territorio. La parte iniziale della sua relazione descrive la morfologia del territorio a ridosso del centro urbano di Palagiano, e la porzione di territorio a Nord sino ad interessare la parte collinare Murgiana a Sud di Mottola. Nella restante parte poi, oltre ad analizzare il perché gli eventi abbiano avuto un esito così drammatico, riporta alcuni consigli sul come sia possibile evitare, in futuro, il ripetersi di simili conseguenze.   
Relazione dell’ing. Rino Pucci                        
“La parte di territorio a ridosso del centro urbano di Palagiano è interessata dal bacino della lama di Vite, che a sud dell’abitato si biforca in due rami: il Fosso San Marco dei Lupini ad Est, e il torrente Lamoscella ad Ovest; mentre, la parte di territorio a Nord dell’autostrada  A14 ed a Sud del centro urbano di Mottola, è solcato dalla gravina Petruscio ad Est, e dalla gravina Forcella ad Ovest.Osservando una qualsiasi mappa idrografica del territorio, appare subito evidente il problema cardine, ovvero la presenza di grossi solchi (gravina Petruscio, gravina Forcella ed altri piccoli incisioni) a Nord del centro urbano oltre l’autostrada, la presenza di grosse lame a Sud del tessuto urbano (Lama di Vite con le sue biforcazioni torrente Lamoscella e Fosso San Marco dei Lupini), non collegati adeguatamente tra loro, se non con piccoli canali artificiali, spesso discontinui, deviati a piacimento, o addirittura senza sbocchi. Si distinguono due bacini idrografici, quello ad oriente di Palagiano che, partendo dalla gravina Petruscio, senza veri e propri collegamenti sfocia nel fosso San Marco dei Lupini, e quello ad occidente, che dalla gravina Forcella sfocia nel Torrente Lamoscella.Analizzando il bacino orientale, dalla superficie di oltre 20 Kmq, si nota come la zona a Nord della stazione ferroviaria Palagiano-Mottola convoglia le acque nella gravina Petruscio; in corrispondenza della stazione ferroviaria, attraversando un ponticello di modeste dimensioni le acque confluiscono in un canale in terra battuta di sezione triangolare.Quest’ultimo, in un breve tratto, percorrendo i confini particellari delle aziende agricole si riduce ad una piccola canaletta cementata per poi addirittura scomparire in corrispondenza dell’Autostrada A14.Subito a valle di questo canale esiste un altro canale, denominato “Fosso San Marco”, di recente rivestito con gabbioni metallici riempiti con pietrame calcareo, travolti dalla furia delle acque nell’alluvione dell’8 settembre 2003, che a ridosso del centro urbano, in corrispondenza dell’oleificio “Latorrata”, scompare in una vigna a tendone perfettamente pianeggiante, e senza avvallamento alcuno.E’ curioso osservare come, le acque convogliate in questo canale, dopo tanti giorni dalla pioggia, vengono assorbite naturalmente dai terreni circostanti.Comunque, qualora l’acqua superasse questa discontinuità idraulica, incontrerebbe  uno sbarramento finale: la tangenziale ANAS, che non contiene alcun collegamento idraulico tra la parte interna e quella esterna al centro urbano. Certo non bastano le opere di sollevamento dei paracarri cementizi “New Jersej” in corso di realizzazione per far defluire le acque sopra le sede stradale.Analizzando il bacino occidentale si nota come la Lamaderchia attraversato prima dalla ferrovia, poi dall’autostrada ed infine dalla S.S. n. 7 (denominata  estramurale) non ha una vera e propria continuità idraulica, ma attraverso sottopassi e tombini, spesso inadeguati non solo per le eccezionali e devastanti piogge dell’8 settembre 2003, ma anche per le piovosità torrenziali più modeste e quindi più frequenti.Solo a ridosso dell’estramurale esiste un canale cementato che, attraverso un tombino, fa defluire le acque a Sud-Est del Paese, sino a raggiungere il torrente Lamoscella.Se la mancanza di continuità idraulica nel bacino Est, tra i canali discontinui esistenti e l’inizio della lama “Fosso San Marco”, per presenza della tangenziale Est, destano allarmanti preoccupazioni, la situazione del bacino occidentale non è da meno. Infatti, solo nelle normali piogge invernali, il tombino di attraversamento della statale n. 7, in prossimità del cimitero, risulta adeguato e ben dimensionato, nel caso di brevi piogge torrenziali cadute su ampie aree del bacino, il tombino risulta paurosamente inadeguato .Anche se non è questa la sede dei dati numerici, si vuole per puro esempio, al fine di meglio far comprendere la gravità del caso, rappresentare una verifica idraulica del tombino in questione.Occorre comunque premettere alcuni dati statistici sulle piovosità rilevate alla stazione di Castellaneta (Ufficio Idrografico e metereografico dell’Assessorato ai Lavori Pubblici – Difesa del suolo della Regione Puglia);

 

 1 ora

 3 ore

 6 ore

 12 ore

  1. 9.2003

 142,2

 224,0

 242,6

 244,2

Max dati precedenti

 94,4

 121,6

 121,8

 122,8

 Appare subito evidente che, i dati pluviometrici nelle 3 ore consecutive dell’8 settembre 2003, sono da considerare un evento eccezionale e senza precedenti nei dati in possesso degli ultimi 38 anni.Applicando le consuete formule dell’idraulica vien fuori che in corrispondenza del tombino in menzione è attraversata una portata presumibile di oltre 150 mc/sec, a fronte di circa 25 m/sec di portata defluibile dal tombino ipotizzato privo di ostacoli, di erbacce, e con acque prive di corpi galleggiati.Considerando che durante questo tipo di evento meteorologico sicuramente l’irruenza delle acque trasporta con se persino alberi di ulivo, c’è da pensare che la portata defluibile del tombino sia stata decisamente inferiore.Ciò giustifica lo scavalcamento delle acque lungo l’intero tratto della S.S. n. 7, non solo prospiciente il centro urbano, ma anche per un lungo tratto in direzione Castellaneta, basti vedere tutte le recinzioni abbattute; questo particolare evento è stato visto e vissuto drammaticamente in prima persona con tutta la mia famiglia.Certo, l’evento metereologico dell’8 settembre 2003 è sicuramente del tutto eccezionale per il nostro territorio, rispetto ai dati precedenti, salvo il fatto che su scala nazionale questi eventi calamitosi si ripetono copiosamente specialmente nel periodo autunnale delle annate particolarmente calde.Con analoghe formule empiriche vien fuori che, utilizzando i dati delle piovosità dei 38 anni precedenti al 2003, l’evento metereologico dell’8 settembre 2003 avrebbe avuto un tempo di ritorno di migliaia di anni; le case cambiano quando si aggiungono i dati del 2003.Per meglio comprendere i fatti, di seguito si riassumono con approssimazione dopo l’evento dell’8 settembre 2003, le portate idrauliche, in relazione alle precipitazioni massime, ed  ai tempi di ritorno degli eventi:  

Tempo di ritorno in anni

20

50

100

200

3000

Portata di Piena in mc/sec

80

100

115

130

180

 Questi dati dovrebbero far riflettere sulla circostanza che, relativamente al bacino occidentale, ove esiste almeno un tombino della capacità di deflusso di circa 20 mc/sec il tempo di ritorno risulta notevolmente inferiore a 20 anni (quello relativo a 20 anni è di 80 mc/sec).Occorre ricordare invece che il bacino orientale non ha alcun attraversamento, pertanto le sue acque raggiunte la tangenziale, ritornano paurosamente nel centro urbano attraversano viale Chiatona, via Piccinni e tutte le altre vie che vanno verso Sud e Sud-Est, così come ogni cittadino di Palagiano ha verificato sulla sua pelle. In conclusione, non è sbagliato asserire e senza fare inutile allarmismo, che oggi il centro  urbano del nostro Paese si trova nell’alveo del torrente che deve necessariamente, provenendo da Nord raggiungere le lame a Sud del Paese.I dati sopra menzionati, seppur calcolati su elementi empirici e con modelli matematici forse superati servono solo allo scopo di dare l’ordine di grandezza degli eventi possibili; occorrono studi approfonditi e dati plano-volumetrici del territorio, non in mio possesso, per ridurre le approssimazioni.L’Ente Provincia di Taranto si è dotata di una carta tematica del territorio che potrà sicuramente servire allo scopo, solo se adeguatamente utilizzata e non lasciata  nel cassetto di qualche ufficio.Occorre inoltre, redigere una carta tematica idonea a tutti i progettisti di opere pubbliche e private al fine di dimensionare le stesse ad eventi metereologici non inferiori a 200 anni almeno, onde evitare che succeda quello che noi tutti abbiamo visto; tutte le strade costruite con tombini e terrapieni travolti dalla furia delle acque, strade, ferrovie costruite con piccoli o addirittura senza tombini di attraversamento.Occorre far presto, effettuare questi approfondimenti sulla cartografia in possesso della Provincia di Taranto, come la carta del rischio e poi provvedere ad eliminare almeno in tempi “BREVI” gli ostacoli principali al deflusso delle acque che possono essere ridotti a due: l’attraversamento della tangenziale Est con adeguato canale a monte ed a valle ed un più adeguato passaggio sotto l’estramurale !Opere di proprietà ANAS.Poi si potrà con più serenità pensare alla sistemazione idraulica di tutti i costosi canali necessari alla continuità idraulica del territorio, adeguare le sezioni idrauliche dei tombini esistenti sotto i terrapieni di alcune strade (ponte Lamoscella, ponte di Travara, ponte di Calzo ecc.).Non bisogna nemmeno trascurare la salvaguardia delle zone murgiane, monitorare con maggiore frequenza i canali esistenti, ed operare nella realizzazione di nuovi interventi o nell’adeguamento degli esistenti le mappe del rischio idrogeologico ed ideologico, onde evitare gli errori commessi nell’intero XX secolo.Eppure eventi gravissimi, paragonabili a quelli dell’8 settembre ’04, si sono avuti con frequenza nei secoli scorsi, solo che non c’è stata memoria storica. A dimostrazione di quanto si asserisce è, per esempio, il ritrovamento di  una vecchia strada lastricata (corso Lenne), realizzata presumibilmente nel XVI secolo, sepolta di oltre 60 centimetri sotto l’attuale strada asfaltata. A ulteriore riprova di quanto sopra, è il ritrovamento dei diversi strati di pavimenti nelle vecchie case a piano terra prospicienti corso Lenne. In sintesi, nei secoli scorsi, il fango lasciato dalle diverse alluvioni, non rimosso come in occasione dell’8 settembre ’04, ha sepolto e cancellato le diverse memorie storiche di questa comunità”.

Giuseppe Favale