Corriera Palagiano - Conca d'Oro - Foto Studio Angelo Balestra

Fino agli anni ’50 l’agricoltura del nostro paese, come quella dei paesi vicini, rimase così come descritta nelle pagine precedenti. Il nostro Comune aveva ancora la maggiore estensione del suo territorio, interessato all’agricoltura, nelle mani di pochi agrari e del latifondista principe Guglielmo Romanazzi, che possedeva ancora una buona parte del vecchio feudo che principi e baroni, per secoli, avevano posseduto.Negli anni dopo la II Guerra Mondiale, i giovani agricoltori, rientrati dai campi di prigionia, trovarono il paese impoverito ancora di più; la produzione che si era ridotta notevolmente, rispetto agli anni prima della guerra, assorbita dallo Stato, per mantenere le truppe nei vari posti di guerra, stentava a decollare. Si andò avanti con la tessera per l’acquisto dei generi alimentari, ancora per qualche anno dopo la guerra, perché scarseggiavano; mancavano scarpe e vestiario; i mezzi di trasporto erano ancora i carri trainati dagli animali.Era vergognoso vivere, in casa propria, da poveri. La penuria di tutto che, per anni, li aveva accompagnati nei campi di concentramento, andava combattuta e allontanata per sempre.I Partiti che si erano costituiti, in Italia, diedero un valido contributo alla risoluzione del problema dell’assegnazione delle terre ai contadini, là dove regnava, specie nel Mezzogiorno il latifondo e la grande proprietà terriera.Non si mancò di protestare vivamente, nel nostro Comune, come pure a Palagianello, Mottola, Castellaneta e Ginosa dove vaste estensioni dei rispettivi territori, erano in possesso dei feudatari. I feudi erano uno scandalo per tutti gli agricoltori che attendevano l’assegnazione di un pezzo di terra da coltivare autonomamente, liberi dai vincoli della mezzadria e del fitto che li vincolava, da lunga data.Gli agrari locali avevano condotto le loro aziende, con sistemi antiquati senza l’apporto delle macchine e con l’assenza, quasi totale, di sistemi irrigui che avrebbero potuto migliorare la produzione e diversificarla, associando alla coltivazione dei cereali e dei legumi quella più redditizia dell’ortofrutta. Si erano serviti della manodopera locale e forestiera applicando la prassi consolidata della domanda e dell’offerta e pretendevano di continuare ad applicarla.Tale stato di cose mutò repentinamente, in seguito agli scioperi e ai primi interventi sindacali a favore dei braccianti e degli operatori agricoli.Gli agrari vennero a trovarsi nella condizione di non poter sopportare le spese per la manodopera e la conduzione delle aziende, tanto da essere indotti alla loro vendita totale o parziale.Bisogna obiettivamente riconoscere che, all’andamento poco innovativo della gestione delle terre da parte degli agrari del Sud, contribuì la quasi assenza di interventi dello Stato che non offrì provvedimenti mirati al miglioramento della nostra agricoltura.Fino agli anni ’50 la viabilità, nel territorio agricolo, era ridotta e sgangherata; il fondo stradale era in terra battuta ovunque; vi erano stradine strette che a malapena consentivano l’incrociarsi di due carri; divenivano quasi impraticabili d’inverno. Portare le merci dai campi al paese, era una vera impresa; le peggiori erano le stradine delle lame, dove il terreno argilloso non consentiva l’assorbimento delle acque piovane, rendendole impraticabili, per diversi mesi dell’anno.La lama maggiore, quella di Lenne, presso la sorgente “Calzo”, non aveva alcun ponte; per portare le merci a Palagiano, bisognava salire dal fondo valle su per i costoni, senza l’ausilio di alcun mezzo a motore, con la sola forza dei cavalli e, dove questi non potevano arrivare, si portavano le merci a spalla. Non vi era alcuna strada asfaltata e le stesse via Lenne e viale Chiatona che attraversano buona parte del nostro territorio, avevano il fondo stradale brecciato.A differenza del Nord che aveva beneficiato della Legge di “Bonifica Integrale” del 1928, nessuna seria opera di bonifica, nelle paludi, era stata avviata e la malaria continuò a colpire la nostra popolazione come quelle delle coste dello Ionio e dell’Adriatico, fino agli anni ’50Le terre adiacenti ai fiumi Lenne e Lato continuarono a impaludarsi, per lo straripamento delle acque, nei pressi delle foci, ostruite dalla sabbia e dai detriti.Per il deflusso delle acque occorrevano opere di bonifica che il Comune non poteva sostenere. Si ricorreva, ogni anno, alla pulizia delle foci con pale e picconi, lavori precari che consentivano lo scorrere delle acque per brevissimi periodi, come negli anni dell’anteguerra.Durante l’inverno, i venti e le mareggiate spostavano le sabbie che, insieme alle alghe, ritornavano a ostruirle.Le leggi fondamentali per la rinascita dell’agricoltura del Sud,(…) furono:-il Decreto Legislativo del 12 dicembre 1947 per le “opere di Bonifica, miglioramento fondiario e irrigazione”; -Cassa per il Mezzogiorno istituita con la Legge del 10 agosto 1950 n. 646 chiamata propriamente: “Istituzione della Cassa per opere straordinarie di pubblico interesse nell’Italia Meridionale…”, (G. U. I sett. 1950);·         la Legge 12 maggio 1950 n. 230: “Provvedimenti per la colonizzazione dell’Altopiano della Sila e dei territori Ionici contermini”, (G.U.20 maggio 1950 n. 115); (quest’ultima fu la legge di Riforma Fondiaria che interessò la nostra zona il Decreto, tra cui Palagiano Per quanto riguarda in particolare, il nostro territorio, è da tenere presente :·         il Decreto del Presidente della Repubblica del 7 febbraio 1951 n. 67: “Norme per l’applicazione della Legge 21 ottobre 1950 n. 841 a territori della Puglia, della Lucania e del Molise e Istituzione presso l’ENTE PER LO SVILUPPO E DELLA IRRIGAZIONE E LA TRASFORMAZIONE FONDIARIA IN PUGLIA E LUCANIA  di una SEZIONE SPECIALE PER LA RIFORMA FONDIARIA”. (G.U. 27 febbraio 1951 n. 48 supplemento ordinario). (Questo decreto indicava le province della Puglia e i comuni soggetti all’esproprio: “Provincia di Taranto: tutto il territorio dei comuni di: Avetrana, Castellaneta, Ginosa, Laterza, Massafra, Mottola, Palagianello e Palagiano”. L’articolo 2 stabiliva che «…è costituita con sede in Bari, presso l’Ente per lo sviluppo dell’irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia e Lucania istituito con D. L. 18 marzo 1947, n. 281 una Sezione speciale per la riforma fondiaria, con lo scopo di esercitare nel territorio indicato dall’articolo 1 del presente decreto le funzioni relative all’espropriazione, bonifica, trasformazione ed assegnazione dei terreni ai contadini nonché le altre funzioni previste dalla legge». Le terre soggette ad esproprio, nel nostro Comune, furono quelle del feudo del Romanazzi e, in ottemperanza delle leggi su citate, si ebbero: la loro delimitazione, la loro spartizione in quote da cinque ettari circa, la ricognizione e la catalogazione dei beni mobili esistenti nelle masserie: attrezzi, macchine e bestiame.I contadini, ancora increduli per quello che stava accadendo, chiedevano agli operatori locali della Riforma Fondiaria notizie e conferme sullo scorporo delle terre. Ancora alle prese col fitto e la mezzadria, nonostante fossero passati cinque anni dalla fine della guerra, dopo tante promesse, non credevano più a niente.Molti giovani avevano già preso la via della emigrazione in Svizzera, Germania, Belgio e nelle città del centro e del nord dell’Italia dove le fabbriche avevano bisogno di manodopera. Pur di affrancarsi dal bisogno e dalla disoccupazione affrontarono, in quelle terre, i lavori più faticosi, più umili e pericolosi come il lavoro nelle miniere di carbone del Belgio.Fonte: Memoria storica del nostro ‘900, di Michele Orsini L’ASSEGNAZIONE DELLE TERRE Tra le donne che attendevano c’erano le raccoglitrici di olive, di mandorle, di cotone, di piselli, di fave, che con ogni tempo, avevano dato la loro prestazione, proprio in quelle terre, mai per proprio conto, ma sempre per terzi, infaticabili, preoccupate solo di non perdere il lavoro.Si procedette all’assegnazione, per sorteggio. L’assegnatario estraeva da un sacchetto una pallina numerata a cui corrispondeva la quota di cui sarebbe venuto in possesso.Parecchi assegnatari, prima di estrarre il numero, salutarono il ministro Fanfani col saluto francescano di: “Pace e Bene”.La prima assegnazione diede a 250 assegnatari, quote di circa 5 ettari di cui 4 di terreno seminativo e uno, circa, di oliveto; successivamente ci furono altre assegnazioni di pochi ettari, il così detto “Terzo Residuo”; infine, lo stesso principe, assegnò altre 50 quote, in zona “La Vega”, ad agricoltori che, da tanti anni avevano tenuto quelle terre, come suoi fittavoli.Dopo l’assegnazione i contadini, con le loro famiglie, andarono alla ricerca delle quote assegnate; i picchetti numerati che le delimitavano furono visti e rivisti e, quando la quota veniva individuata, si faceva festa e si attendeva che arrivassero i confinanti per conoscersi.Quasi tutte le quote erano state seminate a cereali e a legumi, come di consueto, e si aspettò il primo raccolto, finalmente da padroni.Quando fu costruita l’abitazione sulla quota gli assegnatari furono obbligati ad andare ad abitare in campagna. Le case, sia pur nuove, non disponevano di acqua potabile e, per i bisogni delle famiglie, fu scavato un pozzo per attingere acqua almeno per i servizi, in mancanza, fu utilizzata anche per bere. Non tutti ebbero il pozzo sin dal primo momento e fu provveduto a fornire le case di serbatoi di due quintali appena, per l’acqua potabile che veniva trasportata con autobotti.Fu un inizio da pionieri! La disponibilità della terra era comunque più importante di ogni cosa.Ogni assegnatario fu obbligato ad acquistare, una mucca; il latte prodotto veniva conferito al centro di Conca D’Oro e inviato ai caseifici vicini.Fu per gli assegnatari una nuova esperienza, quella dell’allevatore, in quanto, quasi nessuno di loro aveva posseduto bestiame da pascolo.La vendita del latte assicurò loro i primi guadagni e, presso il Centro di Riforma di Conca d’Oro, dato l’esperimento positivo, si ipotizzò la nascita di una centrale del latte.Il progetto purtroppo cadde sin dal nascere; il latte fu avviato alla centrale del latte di Taranto e in altri caseifici e gli assegnatari, visto l’insuccesso, abbandonarono l’allevamento e si  dedicarono esclusivamente alla lavorazione della terra.Col trasferimento degli assegnatari in campagna, fu provveduto alla costruzione della chiesa, nel Centro di Conca d’Oro e alla istituzione della “Parrocchia Santa Maria delle Grazie” affidata al Vice Parroco dell’Annunziata, Don Leonardo Ventura di Palagiano che la tenne fino agli inizi del 1958. Veniva celebrata la Santa Messa domenicale e si iniziò anche qualche corso di Catechismo.Gli subentrò, come Parroco, Don Vincenzo De Florio, il 23 marzo 1958; il quale stabilì la sua dimora, nei locali annessi alla chiesa. Diede impulso all’istruzione religiosa aumentando i corsi di catechismo e stabilì contatti più frequenti con le famiglie degli assegnatari.Il Parroco divenne presto l’amico e il confidente a cui la gente si rivolgeva per aver scelto di condividere i loro disagi; si interessava dei loro problemi, confortava chi ne aveva bisogno, fu un valido aiuto per tutta la gente della nuova frazione e, in particolare dei bambini.Presso il centro sorsero alcune strutture scolastiche, la maggiore presso la masseria di Conca d’Oro con la Scuola Elementare e la Scuola Materna dove i figli degli assegnatari potevano frequentare.Altre scuole furono poste presso le masserie di Chiàtone e Frassino.Nelle scuole funzionavano corsi di pluriclasse: 1a e 2a per il primo ciclo, 3a,4a,5a per il secondo ciclo.Presso il Centro funzionava anche il “Centro di Lettura” serale, dove i giovani e gli adulti volenterosi passavano la sera, leggendo e studiando, aiutati dall’insegnante assegnato.Furono costruite anche alcune abitazioni per gli Insegnanti.La Scuola ebbe una grande importanza in quei primi anni della Riforma, perché trovarono accesso, oltre ai fanciulli delle elementari e delle materne, gli adulti che potettero frequentare i Corsi di Scuola Popolare.Quando gli abitanti furono al completo, nelle campagne, le scuole funzionarono tutte e, in alcuni casi si occuparono anche locali delle masserie.La Riforma Fondiaria si attuava in un periodo storico per l’Italia, in cui la società, venuta fuori dall’ultima Guerra Mondiale, avviava prevalentemente, in campo economico, le sue risorse, verso l’industria, concentrata sempre nel Nord.La condizione miserevole delle masse dedite all’agricoltura, nel Meridione d’Italia, nelle isole, in alcune zone della Toscana e del Veneto le spingeva verso un miglioramento delle loro condizioni di vita anche con azioni di lotta.La gran massa della gente dedita all’agricoltura lavorava alle dipendenze dei latifondisti e degli agrari, per cui , la loro elevazione di vita non poteva essere favorita da tale sistema, sperimentato abbondantemente, per secoli e risultato negativo per le masse lavoratrici.La Riforma Agraria nasceva in tale contesto sociale, dove i lavoratori agricoli aspiravano ad avere un proprio pezzo di terra da coltivare, liberi da vincoli di dipendenza e in presenza di un esodo di giovani dalle campagne e dalle botteghe degli artigiani verso le città del Nord, dove l’industria richiedeva manodopera. La Riforma Agraria, nello spirito dei legislatori che l’attuarono, pose le seguenti finalità:·         assegnare quote di terreno ai braccianti, ai fittavoli e ai mezzadri;·         integrare le piccolissime proprietà terriere con altre espropriate;·         salvaguardare la piccola, media e grande proprietà fino a trecento ettari;·         abbattere il latifondo;·         avviare le nuove proprietà assegnate a una conduzione con nuove tecniche agrarie;·         utilizzare le macchine agricole;·         trasformare o costruire opere irrigue;·         indennizzare i proprietari espropriati;·         conservare l’unità assegnata con la indivisibilità;·         procedere all’assegnazione definitiva dopo un triennio di prova. Parecchie di queste furono portate in porto, ma non si diede il dovuto impulso:·         alla conduzione delle terre con “nuove tecniche agrarie”;·         all’uso delle macchine;·         alla individuazione di mercati di smercio dei prodotti;·         alla costituzione di cooperative che avrebbero dovuto elevare l’assegnatario ad artefice del suo avvenire. La commercializzazione fu lasciata ai metodi tradizionali e soprattutto non fu avviato un vero programma di costituzione di cooperative che avrebbe sicuramente rivoluzionato la nostra agricoltura.I Centri di Colonizzazione, decentramenti della “ Sezione Speciale per la Riforma Fondiaria in Puglia, Lucania e Molise”, con sede in Bari, che interessarono il nostro territorio, furono: Castellaneta prima, S. Basilio Mottola poi.Tali “Centri”, anelli di congiunzione tra gli assegnatari e la Sezione speciale, avrebbero dovuto cogliere le iniziative e le istanze degli assegnatari e dell’intero mondo agricolo locale o, in loro assenza, promuoverle.Non si tenne conto che gli assegnatari provenivano da un mondo agricolo che aveva condotto le terre a mezzadria o in fitto, su cui, per secoli, avevano solo praticato le semine dei cereali e dei legumi e praticata l’orticoltura solo marginalmente. Non avevano altre esperienze.Ancora peggiore era la situazione dell’assegnatario ex bracciante che non aveva alcuna esperienza di conduzione; furono questi, i primi, ad abbandonare le quote assegnate o a limitare le coltivazioni, per dedicarsi ancora a lavorare presso terzi, per il ricavo immediato della prestazione.Sia gli uni sia gli altri avevano bisogno di guide esperte e disponibili a seguire con loro, il processo di trasformazione delle terre, in maniera nuova, ed essere indirizzati soprattutto verso la cooperazione.La costituzione delle cooperative avrebbe dovuto avere carattere prioritario sin dai primissimi anni della concessione delle terre.Proprio in quelle tre annate di prova, si poteva avviare tale processo, quando gli assegnatari, per la trasformazione delle terre e per la messa a dimora delle prime colture avevano bisogno di forze non comuni per l’acquisto delle macchine, del bestiame, delle sementi e degli alberi.Tali prodotti furono acquistati dall’Ente, assegnati a ciascuno e annotati sul libretto individuale delle “scorte” per il pagamento; in particolare furono acquistate sementi ma non fu assegnata alcuna macchina.Nessun piano a lungo termine fu previsto per lo smercio dei prodotti che sarebbero venuti negli anni, in seguito alla coltivazione di agrumi e viti di uve da tavola.A detta degli assegnatari, non vi furono piani di interventi concordati tra loro e l’Ente, ma tutto avvenne dietro decisione di quest’ultimo; le prime trasformazioni delle terre furono ad agrumi e a vigneto.Queste trasformazioni, buone, diedero agli assegnatari, una volta giunte a produzione, i primi frutti già intorno agli anni ’60 e non essendosi creata alcuna cooperativa, la commercializzazione fu lasciata al singolo produttore, come nel passato.Pullularono commercianti e mediatori che si riversavano nelle campagne, nei periodi del raccolto, alla ricerca “dell’affare”.Nessuna tutela ebbe, ancora una volta, l’agricoltore nella vendita dei suoi prodotti; spesso il periodo del raccolto che doveva essere atteso con ansia, per i ricavi delle vendite, compenso giusto per le sue fatiche, veniva atteso con tanta preoccupazione, essendo il mercato in balia dei commercianti che ne stabilivano il prezzo a loro piacimento.Tentativi di costituzione di cooperative naufragarono prestissimo.Risultò negativo l’obbligo, per gli assegnatari, di risiedere in campagna.Gli agricoltori palagianesi come in genere, quelli pugliesi, mal sopportavano l’allontanamento dal centro abitato.Erano abituati, dopo il lavoro, a rientrare in paese e, dopo la cena, anche se stanchi, si incontravano in piazza o nelle botteghe del sellaio o del barbiere dove discorrevano e si scambiavano notizie.Si trovarono d’improvviso proiettati nell’isolamento più totale della campagna, lontani dal paese dove avevano vissuto per anni, privati dei contatti sociali, obbligati a vivere in case isolate, lontane tra loro, dove mancavano: l’energia elettrica, l’acqua potabile, a volte il pozzo per attingere l’acqua per i servizi, i mezzi pubblici per raggiungere il vicino Centro di colonizzazione dove c’erano lo spaccio, l’ufficio postale, il piccolo ambulatorio, gli uffici della Riforma, la chiesa e la scuola. Chi non aveva un mezzo di trasporto proprio era completamente tagliato fuori dal contesto sociale del paese.Chi si accingeva a frequentare la Scuola Media incontrava enormi difficoltà per raggiungere la scuola presso gli altri comuni, dal momento che, fino al 1962, non era stata ancora istituita, a Palagiano.A Conca d’Oro, dove era stato ubicato il “Centro” per il nostro territorio interessato alla Riforma Agraria, gli assegnatari, pur di stare un po’ insieme si incontravano, quando potevano, per ascoltare la radio o giocare a carte.La sera, durante queste brevi assenze, le abitazioni, venivano lasciate alla custodia delle mogli che aspettavano con ansia, il rientro dei mariti, essendo le strade e le corti delle case, al buio totale.Chi soffriva più di tutti l’allontanamento dal paese, erano i ragazzi.Non avevano più compagni con cui giocare, né posti per incontrarsi; potevano parlare tra loro dopo le ore di scuola, dopo la S. Messa domenicale o dopo l’ora di catechismo.Si ritornò a illuminare le abitazioni con i vecchi lumi a petrolio o con le lampade a gas come nell’Ottocento.Le case furono dotate di servizi igienici, ma senza acqua corrente.La concentrazione delle abitazioni su Conca d’Oro avrebbe dato vita ad un vero e proprio agglomerato, dove gli assegnatari, oltre al beneficio dello stare insieme, avrebbero potuto intessere rapporti più costanti e fattivi con i dirigenti del “Centro”, per essere guidati nel rinnovamento dell’agricoltura che era l’obiettivo della Riforma.Superato il periodo dei tre anni di prova, con l’assegnazione definitiva delle terre, i “Centri di Colonizzazione”, man mano che passava il tempo, venivano sempre più impoverendosi del personale dirigente e dei pochi servizi di supporto per gli assegnatari.Il medico preposto alla cura e all’assistenza delle famiglie andò sempre più diradando le visite agli assistiti, fino a lasciare del tutto, l’ambulatorio, alla buona volontà di una ostetrica che fungeva anche da infermiera; lo stesso avvenne per il veterinario che curava il bestiame.I dirigenti e il personale tecnico presero la via delle città dove posero i loro uffici e gli assegnatari capirono di essere rimasti senza guida.Le trasformazioni dei terreni furono lasciate alla loro libera iniziativa; continuarono a privilegiare, l’agrumicoltura e la viticoltura con impianti di clementine e uve da tavola che richiedevano assistenza tecnica, essendo colture delle quali non avevano conoscenza.Le colture su citate, bisognose di maggiori quantitativi di acqua, rispetto alle tradizionali dei cereali e dei legumi, portarono molti assegnatari a cavare pozzi a cielo aperto, in modo indiscriminato, prima che fosse stato costruito l’acquedotto del Tara, contribuendo nel tempo, all’impoverimento delle falde acquifere sotterranee.Le nuove colture invasero indiscriminatamente il nostro territorio e quelli limitrofi con gli inevitabili danni che, si sarebbero verificati nel tempo, con la sovrapproduzione.La fuga del corpo dirigente dai Centri di Riforma e la poca attenzione dello Stato verso l’Agricoltura, credo abbiano determinato tutto ciò.La corsa dei dirigenti verso la città portò, di conseguenza, l’esodo degli assegnatari dalle campagne. L’indivisibilità inoltre, delle quote assegnate, come da contratto, obbligò molti giovani a cambiare mestiere individuando le scarse prospettive di ereditare le quote assegnate; una specifica norma contrattuale proibiva infatti, la divisibilità della quota, anche in presenza di più soggetti dediti all’agricoltura, il titolare doveva essere uno.La legge veniva a ledere, di fatto, la eredità spettante a tutti i componenti dello stesso nucleo familiare, anche se voleva salvaguardare l’integrità dell’appezzamento assegnato, di piccola estensione.Si accesero contenziosi tra padri e figli, tra fratelli e sorelle che portarono il legislatore a modificare la norma, così l’assegnatario titolare poté dividere la quota ai propri figli.La norma giunse comunque in ritardo, quando parecchi giovani avevano intrapreso altre attività o la strada dell’emigrazione.La Riforma diede comunque all’agricoltura, dopo alcuni anni, l’acquedotto, opera importantissima per la trasformazione delle terre; furono utilizzate le acque del Tara, sfruttate prima per soli scopi terapeutici. L’acquedotto diede vita alle coltivazioni di agrumi e viti dei comuni di: Massafra, Palagiano, Palagianello e Castellaneta.L’acqua portò la trasformazione radicale delle colture nei Comuni su citati.Le terre del feudo tenute sempre a pascolo e a semina, si trasformarono, nell’arco di un decennio, in agrumeti e vigneti di uve da tavola che soppiantarono i vecchi oliveti di olive “olearole”, simbolo del nostro territorio.La Riforma Fondiaria, sia pure con i suoi difetti, ha modificato sostanzialmente la nostra agricoltura e la società palagianese; ha portato benessere alle famiglie, che hanno potuto acquistare o costruire case ampie e comode; molti hanno potuto acquistare macchine da lavoro e da diporto con la conseguente ricaduta positiva nel settore industriale delle macchine.Molti agricoltori, appena alfabetizzati, hanno avuto modo di mandare a scuola i propri figli, consentendo loro la frequenza anche dei corsi di Scuola Superiore e universitari. Nell’arco della seconda metà del secolo, la Scuola dell’Obbligo, è diventata patrimonio dell’intera comunità; i diplomati e i laureati, in ogni branca, sono innumerevoli.La Riforma Fondiaria ha consentito uno sviluppo urbanistico notevole del paese e ha trasformato in terre fertili le terre paludose intorno ai fiumi Lenne e Lato. Là dove un tempo si moriva di malaria, sorgono giardini di clementine, vigneti di uva da tavola e oliveti.

Dall’alto della collina di Mottola, nelle chiare giornate di primavera e d’estate, la nostra pianura appare una immensa distesa di verde, interrotta qua e là dal chiaro delle coperture dei tendoni simili a piccoli specchi di acqua.

 

 

  Fonte: Memoria storica del nostro ‘900, di Michele Orsini