La Riforma Agraria portò, nelle terre interessate all’assegnazione, opere irrigue che, modificarono profondamente la produzione agricola del nostro paese. Si passò dalla coltura estensiva dei cereali, dei legumi e del pomodoro a quella degli agrumi e delle uve da tavola. Già dagli anni ’60 iniziarono a riversarsi nel mercato locale, quantità notevoli di clementine, di arance delle varietà “tarocco” e “navelina” e di uve da tavola delle varietà, “primus” e “Italia” che richiamarono commercianti da ogni parte d’Italia.I guadagni ottenuti dalla vendita delle uve e degli agrumi, in particolare, delle clementine, spinsero molti agricoltori a intensificare tali colture, in ogni parte del territorio, lo stesso avvenne nei comuni vicini.Veniva a scomparire il mercato delle mandorle, del vino, dei legumi e dei cereali che aveva caratterizzato l’economia secolare del nostro Comune; lentamente venne a perdersi anche il mercato del pomodoro conosciuto in ogni parte dell’Italia meridionale.La presenza di molti commercianti provenienti da ogni parte d’Italia, nel periodo della raccolta delle uve e degli agrumi, consentì l’apertura di svariati magazzini, per il ritiro di questi prodotti che prendevano la via dei mercati delle altre regioni d’Italia, senza alcuna etichettatura che ne indicasse il luogo di provenienza.Cosa veramente strana era il ritiro dei nostri agrumi da parte di commercianti siciliani e napoletani che li lavoravano, nei magazzini locali, etichettandoli come agrumi siciliani e napoletani!Intorno agli anni ’60 si tentò, con la costruzione dell’oleificio della Riforma Fondiaria, nel Rione Macello, di costituire una cooperativa, tra gli assegnatari produttori di olio.L’oleificio accese molte speranze negli assegnatari che intravedevano la possibilità di smerciare l’olio con prezzi più remunerativi e l’avvio di un processo di industrializzazione del prodotto, che avrebbe fatto conoscere il nostro olio in Italia, ma non avvenne nulla. L’olio prendeva sistematicamente la via delle altre regioni, in autobotti, venduto a prezzi stracciati, come era avvenuto col vino “primitivo”, negli anni precedenti.Verso la fine del secolo, come era inevitabile, l’oleificio decadde, sia per la struttura non più idonea per la lavorazione, sia per la commercializzazione inadeguata, al punto da rimanere inutilizzato.La commercializzazione degli oli di semi sostenuta da una pubblicità selvaggia diede il colpo di grazia alla vendita del nostro olio, già dal 1970.L’olio di oliva perse la sua prerogativa di “olio per eccellenza” e fu venduto al di sotto del prezzo degli oli di semi. Tale situazione portò molti produttori ad abbattere migliaia di olivi giganti che, per secoli, erano stati il simbolo dell’agricoltura palagianese, per fare posto alle nuove coltivazioni.Intorno agli anni ’70, ’80, si ebbe la costruzione di un salsificio modernissimo nei pressi del fiume Lato, per il rilancio della coltivazione del pomodoro. Sorse per conto della Riforma Fondiaria gestito da una cooperativa di assegnatari. Quando entrò in funzione, vi lavoravano operaie specializzate venute dal salernitano a cui si affiancarono le nostre. A pieno regime il salsificio assicurava il lavoro a 200 donne impiegate in tre turni lavorativi giornalieri; venivano lavorati oltre 400 quintali di pomodoro al giorno proveniente oltre che dalle nostre terre, dai comuni del brindisino, da Massafra, da Corigliano e da Scanzano. Il prodotto lavorato veniva confezionato in scatole da g.100, g.200 e da scatole da Kg.1 e mezzo.Fu sperimentata la salsa concentrata venduta in tubetti che ebbe successo.Il prodotto, abbastanza buono, veniva venduto non solo in Italia, ma anche in Germania, Austria, Inghilterra e persino in alcuni paesi dell’Africa e negli Emirati Arabi.L’avvio positivo del salsificio invogliò alcuni dirigenti all’acquisto di macchine per la lavorazione e la trasformazione dei frutti da affiancare a quella del pomodoro, ma tale progetto, nonostante già l’acquisto di alcune macchine, non decollò.Il lavoro, sia pure stagionale, era per molte operaie, un valido sostegno economico che assicurava anche quello contributivo. Percepivano una paga giornaliera di £.60.000, oltre la parte contributiva.La struttura che sembrava destinata ad aprire la via alla industrializzazione di tutti i prodotti agricoli locali, lentamente e inspiegabilmente, prese il declino già prima della fine del secolo, fino alla chiusura definitiva. Quello che era uno dei più moderni salsifici d’Italia, ora è ridotto ad un ammasso di ferraglie.Altri due tentativi di istituzione di cooperative agricole sono miseramente naufragati insieme ai precedenti. Ciò ha portato i produttori agricoli a diffidare di questo strumento, resosi valido in altre realtà.Alla fine del secolo rimane nel Comune una sola cooperativa agricola denominata “Ortaj - Coop A.R.L.”, dove vengono lavorati agrumi, ortaggi e uve da tavola.L’enorme quantità di prodotti agricoli del nostro territorio, opportunamente sfruttata, basterebbe da sola a risolvere il problema occupazionale dei nostri giovani.Nel nostro territorio sono sorte tuttavia diverse strutture commerciali gestite da commercianti locali dove si lavorano migliaia di quintali di agrumi e di uve da tavola con l’ausilio di macchine modernissime che ne facilitano l’imballaggio e il trasporto.Il prodotto imballato in contenitori di legno, di plastica e di cartone, secondo le richieste del mercato, viene finalmente etichettato con l’indicazione del nostro Comune e delle zone locali di produzione.Non mancano però ancora, magazzini tenuti da commercianti forestieri.La lavorazione delle uve e degli agrumi dà lavoro a diverse decine di operai, sia pure in particolari periodi stagionali.Dal censimento del 2000 si hanno i seguenti dati:Ÿ         le aziende agricole locali ammontano a 2500;Ÿ         gli ettari coltivati risultano 5600;Ÿ         ha.2500 ad agrumeto; Ÿ         ha.780 a vigneto con uve da tavola;Ÿ         ha. 650 a orto;Ÿ         la sola produzione agrumicola ammonta a t.5000.

Oltre al commercio agricolo, vero volano dell’economia locale, sono sorte, in questa seconda metà del secolo, altre realtà commerciali, nei settori: dell’alimentazione, del vestiario, dei mobili, dell’ottica, della fotografia, dell’elettronica e degli elettrodomestici, oltre alle tradizionali del terziario.

 

 

  Fonte: Memoria storica del nostro ‘900, di Michele Orsini