Nella prima metà del ‘900, le calzature maggiormente in uso, erano fatte a mano dai calzolai del paese. I contadini, in particolare, richiedevano particolari scarpe: alte, solide, con doppia suola, chiodate, ben cucite, resistenti ai lavori. Un paio di scarpe doveva durare parecchio, perché costava dalle 15 alle 20 lire, prezzo abbastanza alto, per cui doveva essere di ottima fattura, per poter durare.Anche le contadine si procuravano scarpe dai calzolai del posto.Il mastro calzolaio utilizzava, come posto di lavoro, la propria abitazione, dove gli odori della cucina si mescolavano a quelli del cuoio e delle pelli.Per cucire le scarpe utilizzava lo spago spalmato di pece o cera e la lesina per forare il cuoio; la cucitura avveniva a mano.Anche il mastro calzolaio aveva gli apprendisti che lo aiutavano, ai quali non dava alcuna paga fino a 18 anni. Da quell’età in poi, l’apprendista riceveva 5 lire alla settimana, meno di una lira al giorno; anche loro lavoravano sodo, senza alcun rispetto per l’orario di lavoro.Le richieste di scarpe nuove non erano frequenti, mentre abbondavano le riparazioni delle suole, dei tacchi e delle cuciture delle tomaie. Per ottenere una maggiore durata e per limitare l’umidità, i contadini facevano risuolare le scarpe con pezzi di copertoni di gomma di auto. Questi servirono anche per costruire scarpe per i cavalli.
Anche in questo settore dell’artigianato locale, non mancarono figure altamente professionali; venivano prodotti modelli di scarpe che, per precisione ed eleganza non avevano nulla da invidiare a quelli forniti dalle piccole industrie della città. In particolare si ricordano Luciano Favale, Biagio Di Roma e Meo Paolo.
Fonte: Memoria storica del nostro ‘900, di Michele Orsini