Risposta di G. Carucci alla lettera aperta di R. Caprara.
Caro Roberto, ti ringrazio per la stima e l’amicizia che hai nei miei confronti e che, come ho detto altre volte, ricambio con affetto sincero per le tue doti umane e culturali senza infingimenti e senza ipocrisia.
La possibilità che questo nostro rapporto possa interrompersi a causa di un differente punto di vista sulle origini di Palagiano e della polemica che ne è seguita, è per me motivo di preoccupazione e di tristezza.
Pertanto, mi sono imposto di ignorare eventuali provocazioni, osservazioni ironiche o suggerimenti vari e di evitare ogni tipo di valutazione o riferimento che possa dare adito ad incrementare una polemica alla quale spesso molti ricorrono quando non hanno valide argomentazioni per sostenere i propri assunti. Invece, sono certo che, a prescindere dal fatto che a nessuno di noi due mancano le argomentazioni necessarie, non lo faremmo comunque.
Tuttavia, ti devo ricordare che sono stato io ad essere accusato, direttamente o indirettamente e in diverse occasioni, di non voler accettare una teoria che, a tuo parere, sarebbe suffragata da prove scientifiche e documenti incontrovertibili, di rimanere arroccato ostinatamente e per puro spirito di campanile sulle mie posizioni e di essere fuori dalla storia, sia pure in buona fede.
Per quanto riguarda la piccola “cattiveria” che ti è sembrato di scorgere nel mio intervento, ti posso assicurare che non ho mai avuto l’intenzione di incattivire la discussione sulle nostre rispettive posizioni o di oltrepassare i limiti di un sano e legittimo confronto sul piano scientifico, neanche quando ho parlato dei quattrocento anni di storia che avremmo recuperato. Spiego subito perché.
Nella tua relazione del 21 gennaio scorso hai introdotto dei cambiamenti su alcuni punti importanti della tua teoria rispetto alla precedente versione. Nello specifico, mi riferisco all’epoca del presunto abbandono degli abitanti di Palagiano che, mentre in precedenza assegnavi al XIV secolo, in quella occasione hai affermato che Palagiano di oggi “è una terra nuova nata, come moltissime città italiane, tra il Duecento e il Trecento”, retrodatando di circa un secolo la nascita della presunta Palagiano nuova.
Così, mi sono trovato di fronte ad una nuova situazione problematica che andava analizzata, studiata e chiarita ed io ho pensato che sarebbe stato lungo e complicato spiegare al pubblico che la tua teoria, con quella variazione, si discostava da quella di R. Palmisano su un punto decisivo, del quale avrei dovuto in quel momento dimostrare l’importanza ed esplicitare le conseguenze che ne sarebbero derivate, Ma, quella sera, si era già fatto tardi e la gente, stanca, cominciava ad andar via; quindi mi è venuto spontaneo, certo esagerando il lasso di tempo della storia di Palagiano “guadagnato”, parlare di quattrocento anni anziché di un centinaio. Ma l’ho fatto per sottolineare, nella maniera più rapida possibile, la contraddittorietà di questo punto della tua teoria. Del resto, sono stato io stesso ad osservare che, laddove nel tuo libro si parlava di XVI secolo, forse c’era stato un errore di stampa.
Ora, è noto a tutti, e tu me lo confermi, che il la tua teoria e quella di R. Palmisano coincidono perfettamente e tra loro non c’è alcuna discrasia. Infatti, mi fai notare che, nel tuo volume intitolato Società ed economia nei villaggi rupestri, scrivevi che “verso il XIV - XV secolo fu possibile tornare a popolare la pianura che era stata invasa dalla palude” (altra affermazione apodittica) e poi ancora che “tra XIV e XV secolo, quando si andavano spopolando i villaggi rupestri, una parte della popolazione [di Palagiano Vecchio] rioccupò la pianura, portandosi appresso il nome del villaggio" (ovviamente di quello distrutto; altrimenti perché quella parte di popolazione lo avrebbe abbandonato portandosi appresso il nome del villaggio?). E poi aggiungi: “Dunque, è chiaro per qualsiasi lettore che io ponevo (e pongo) la fondazione dell’attuale Palagiano nel XIV secolo, anche se non escludo che qualche pioniere si fosse recato ad abitare la pianura che lentamente si liberava dalle acque della palude alla fine del XIII secolo o anche qualche momento prima, perché Roberto Palmisano pensava che lo spopolamento completo di Palagiano Vecchio si fosse verificato alla fine del XIII secolo”.
Il contenuto di quest’ultima affermazione non sono riuscito a trovarla in nessuno degli scritti del Palmisano e non penso che l’abbia mai fatta. Egli, infatti, poneva come terminus post quem una data precisa dopo la quale sarebbe sorta la nuova Palagiano, cioè il 1356 anno in cui Palagiano (vecchio) sarebbe stato distrutto dai mercenari di Guslendene et Mataratii, di cui parla il Crassullo. Quindi, per lui, l’evento scatenante che aveva determinato la nascita della nuova Palagiano sarebbe avvenuto nel 1356 e questa non poteva essere sorta prima di quella data. Il Palmisano, anzi, forniva con ciò la motivazione e la prova della sua nascita.
Con la retrodatazione dell’evento al Duecento, invece, a prescindere dal discorso sulla diversità dei feudatari di Palagiano e di Palagianello documentati per i due casali, verrebbero a mancare sia l’una che l’altra (la motivazione e la prova).
Ma ora torni alla tua tesi originaria, datando con una minore approssimazione la nascita della nuova Palagiano al XIV secolo.
Questa tesi cozza, però, com’ebbi a dire nella mia relazione sul castello di Palagiano tenuta in occasione della mostra intitolata “Le pietre del potere” nel dicembre 2003 a Palagiano, nell’auditorium della Scuola Elementare G. RODARI, col fatto che sin dalla prima metà del XIII secolo Palagiano e Palagianello avevano feudatari diversi. Ora a me sembra ovvio che se negli stessi anni Palagiano aveva i suoi feudatari e Palagianello ne aveva altri, i due centri non potevano essere ubicati nello stesso luogo, ma dovevano trovarsi necessariamente in luoghi diversi. E non è neanche possibile che potessero trovarsi entrambi l’uno a qualche decina o centinaia di metri di distanza dall’altro, se è vero com’è vero che il centro demico di ogni feudo aveva il suo territorio di pertinenza; pertanto non si può sostenere che uno insisteva in gravina e l’altro sul pianoro soprastante. Ne deriva che i due paesi non potendo sovrapporsi l’uno all’altro, sono sempre state due realtà territoriali separate e diverse tra loro e non potevano che essere ubicati esattamente dove ancora oggi si trovano.
Ecco perché la questione se, dal’epoca della presunta fondazione della Palagiano nuova nella pianura, fossero passati quattrocento anni oppure ne fossero trascorsi solo un centinaio, è irrilevante ai fini della conferma o della smentita delle tesi in campo. Ciò che, a mio modo di vedere invece, è importante è la conseguenza della smentita di tale presupposto, o di quella che per voi è una prova della vostra teoria, la presunta distruzione di Palagiano (vecchio), distruzione della quale, peraltro, non esiste alcun cenno in tutta la letteratura storica, né alcuna testimonianza documentaria o archeologica.
Quindi, nessuna cattiveria c’è stata da parte mia nel parlare dei quattrocento anni di storia recuperati.
Per quanto riguarda, poi, l’essenza e la funzione di Parete Pinto, per evitare di ripetermi ancora, rimando a quanto ho scritto nel mio saggio del 2003, con due necessarie precisazioni: 1) se ho accennato ad una cisterna, mi sono riferito, senza possibilità di equivoci, a quella che si trova a 500 metri circa di distanza dal monumento in opus reticulatum, che è a cielo aperto, dall’altra parte della strada e non ho mai sostenuto che Parete Pinto era una cisterna, ma ho dimostrato con argomentazioni scientifiche che era una vasca-piscina per la raccolta delle acque piovane che scendevano dalla vicina collina di Mottola. Ribadisco che ciò è dimostrato, non solo ma soprattutto, dalle tre aperture esistenti la cui pavimentazione in cocciopesto scende dall’esterno verso l’interno per oltre due metri. Detta pendenza dimostra anche che all’esterno il piano di calpestio all’epoca della sua costruzione era lo stesso di oggi, escludendo con ciò la possibilità che la struttura possa risultare interrata a causa dell’accumulo di terra alle spalle del muro di cinta; 2) anche per quanto riguarda la sua funzione, ho il dovere di precisare che non ho mai detto che l’acqua che vi si raccoglieva serviva per essere bevuta, ma ho avanzato due ipotesi, che vanno considerate come tali fino a definitiva futura conferma o smentita, senza alcuna pretesa di scientificità; ho ipotizzato cioè che l’acqua poteva servire o per usi igienici oppure per l’allevamento di anguille o di altri pesci.
Detto questo, devo fare una pregiudiziale di ordine metodologico. Ripartiamo dal 1980, quando esprimesti il primo dubbio sulla ubicazione di Palagiano. Fino ad allora tutti gli storici avevano dato per scontato che Palagiano è sempre stata dove oggi si trova e nessuno di essi aveva mai espresso dubbi in proposito, anche perché questo è un fatto del tutto evidente, suffragato com’è da una tale messe di documenti, precedenti e posteriori alla presunta data di nascita della presunta nuova Palagiano, nessuno dei quali lascia intravedere o fa il minimo cenno alla possibilità che sia potuto accadere ciò che tu sostieni da qualche decennio. In proposito, ho l’obbligo di sottolineare che io parlo di documenti, e non di appunti cancellati, per dire che nel nostro caso non riesco proprio a capire che cosa centri la Diplomatica, disciplina della quale ritengo di avere qualche conoscenza avendola studiata, seppure in modo superficiale, per poter valutare l’attendibilità e la originalità delle decine di documenti da me presi in esame.
Tornando alla teoria sulla identificazione di Palagiano (vecchio) e Palagianello fino al XIV secolo, non si può non riconoscere che in effetti la primogenitura è senz’altro tua. Sei stato tu, infatti, nel 1992 a formularla specificandone i presupposti, anche se è stato il Palmisano a trovare quelle che per entrambi sono vere e proprie prove che ne dimostrerebbero la validità.
Pertanto, riassumendo, si ha che fino a qualche tempo fa (fino al 1980 o fino al 1992) vigeva incontrastata la teoria classica che dava per scontata l’ubicazione di Palagiano sin dalle sue origini nel medesimo luogo in cui ancora oggi si trova, teoria che non solo io ma tutti gli storici, più o meno autorevoli, hanno sempre condiviso.
Ora, la nuova teoria, tua e di R. Palmisano, che a tuo dire sarebbe condivisa da tutto il mondo scientifico (a me, invece, non risultano finora altri studiosi che l’abbiano condivisa criticamente, neanche quelli che hai menzionato), sta cercando di soppiantare la precedente.
Nei tuoi scritti sull’argomento e nella lettera aperta a cui sto rispondendo, trovo le tue insistenti richieste di prove a supporto della vecchia consolidata teoria che considera Palagiano dislocata da sempre nella medesima località dove ancora oggi insiste.
A tale proposito, non posso fare a meno di richiamare un criterio inderogabile, voluto dalla logica e dalla prassi e consolidato sul piano della metodologia storica, un criterio normativo previsto a pena di nullità persino in ambito giuridico: nelle situazioni di questo tipo, è chi contesta una situazione di certezza preesistente e la vuole sostituire con una nuova a dover “dimostrare” la validità della propria tesi e a fornirne le prove.
Devo, poi, rilevare che la tua pretesa di considerare prova incontrovertibile la mancanza di emergenze archeologiche medievali a Palagiano è veramente singolare e assolutamente non condivisibile. Lo riconosci implicitamente tu stesso nel momento in cui dichiari che sarai disposto a rivedere la tua posizione solo se e quando sarò in grado di mostrarti un solo reperto archeologico di età compresa tra il V-VI secolo ed il XIV. Sarebbe come sostenere che prima della loro scoperta, esistevano le prove incontrovertibili della inesistenza, ad esempio, di Pompei o di Ercolano o di altre antiche città scomparse, per il solo fatto che non erano ancora emersi reperti archeologici che dimostrassero il contrario. Ma se, successivamente, queste città sono state scoperte non significa forse che quella mancanza di reperti non costituiva affatto una prova della loro inesistenza?
Pertanto, adesso, è di nuovo la tua teoria a dover essere dimostrata e non la mia, o meglio quella corrente, quella di tutti che è ancora solida e ferma al suo posto.
Con ciò non voglio nascondermi dietro un appiglio di carattere formale e sottrarmi al dovere di rispondere alle tue osservazioni sulla mancanza di prove della mia tesi, perché, se è vero come dicevo prima che nessuno storico, eccetto te e R. Palmisano, ha messo in dubbio la teoria classica su Palagiano e Palagianello, nessuno ha neanche cercato di dimostrarla con argomentazioni scientifiche positive.
Io sono stato il primo ad esporre forti dubbi sulla validità dei presupposti e delle prove addotte a sostegno di quello che ho definito, in altra occasione, il “teorema” Caprara-Palmisano e a studiarne criticamente i diversi aspetti. Tutto ciò grazie all’insorgere della vostra nuova teoria la quale, anche se si dimostrerà inesatta, cosa di cui sono certo, avrà avuto comunque un ruolo positivo importantissimo nel dibattito storico-culturale e non solo per il nostro territorio ma anche nell’ambito di quella che oggi si chiama area vasta, nella quale vado indagando ormai da diversi anni.
Ora, se ancora non ho portato tutte le prove a sostegno della mia tesi, penso di averne portato a sufficienza per “falsificare” la vostra. Ma, ciò nonostante, non solo rimani aggrappato ostinatamente ai presupposti sui quali fondi la tua teoria, ma hai già elaborato una risposta persino sul documento del 1050 a cui ho accennato per la prima volta solo il 21 gennaio scorso nel mio intervento, così come insisti nel voler vedere almeno un reperto di epoca medievale di Palagiano per poter rivedere le tue posizioni.
Ed io ho anche quelli, ma quand’anche te li mostrassi, sono sicuro che mi faresti altre contestazioni, come già hai lasciato intendere e come fai a proposito della chiesa di S. Donato, quando sostieni che nulla impedisce di pensare che chiese di S. Donato ce ne fossero due, una a Palagiano e una a Palagianello. Inoltre, non posso fare a meno di rilevare che cadi in errore, poi, anche quando sostieni, nella lettera di risposta a Luigi Putignano, che “…il documento dell’Archivio Capitolare di Massafra che parla della chiesa di San Donato a Palagiano Vecchio e del suo fondatore, un arciprete di rito greco, non ci dice a quando risale la fondazione, che puo’ essere vecchia di secoli, e non avere, quindi, niente in comune, dal punto di vista cronologico, col Pittaggio San Donato di Palagiano, attestato nei Catasti Onciari settecenteschi, che puo’ aver preso il nome da una cappella di San Donato esistente, secondo il Carucci, nel 1324 (data molto sospetta, perché è quella delle Rationes) scomparsa nel tempo.
E mi perdonerai, se sono costretto a suggerirti di rivedere con attenzione, magari servendoti di una lente di ingrandimento come ho fatto io, il documento da voi stessi esibito, dove potrai leggere che, nell’elenco dei benefici incorporati dal Capitolo di Massafra, c’è anche la chiesa S.ti Donati q. est extra moenia t(er)re Paligiani in casali veteris, q. edificata et constructa fuit, p(er) q.(uonda)m D.us Donatus archipresbiterum grecum casalis Paligiani ut app(aruit) p(er) unam bullam viciatram niger pendentis et confirmatam a q.am d.o Donato imperpetuam. P(er) se ipso heredibus, et successoribus suis p. _____ In X(rist)o patrem et Dominum honorum olim episcopum Motulen predecessorum predecessor nostror(um) episcopor(um) Motulen factam scriptam roboratam et ___________ sub annum D(omi)ni MCCCXXIIII mense maij…die X In. (V)II.
Quindi, come vedi, la data del 1324, 10 maggio, non è né una mia supposizione né una mia invenzione, ma la data in cui fu scritto a Mottola, sede del nostro vescovado, il documento (bullam), da cui risulta che la chiesa di S. Donato fu edificata e costruita da don Donato, arciprete greco del casale di Palagiano, che lo confermò.
Convengo con te, infine, che “per spiegare le vicende anche di un piccolo centro, anche di Palagiano, occorre cercare i confronti anche molto lontano”, ma spero tu converrai con me che è più importante approfondire prima la ricerca in loco e studiare per bene e nei dettagli i documenti e poi, se occorre, “cercare i confronti anche molto lontano”.
Nel lasciarti alle tue riflessioni, voglio solo aggiungere che la tenacia e la grinta che hai dimostrato nel continuare a sostenere la tua teoria, per me sono state un bene e te ne sono grato, perché così mi hai fornito le motivazioni necessarie per approfondire ed allargare l’ambito delle mie ricerche, per analizzare e studiare più in dettaglio i documenti e le carte topografiche, per operare raffronti e trovare riscontri sul terreno, insomma per migliorare la conoscenza del territorio e per scrivere un libro sull’argomento (che è a buon punto) in cui vengono analizzati scientificamente tutti i punti delle nostre rispettive tesi, che, sono certo, metterà la parola “fine” a questa contrastata, ma straordinariamente stimolante, disputa culturale.
Spero di aver tenuto fede al proposito di attenermi esclusivamente ai fatti e alle modalità di un corretto confronto scientifico e di aver esposto il mio pensiero, in maniera critica certamente, ma con la più rigorosa onestà intellettuale, senza offendere la dignità di nessuno o mettere in discussione la tua autorevolezza, guadagnata sul campo con tanti anni di impegno e di instancabile lavoro a favore di tutta la comunità.
Ti abbraccio
Giovanni Carucci