Incredibile, ma vero. Quando, nel 1737, i medici e i dottori della speciale commissione nominata dal granduca Gian Gastone de’ Medici aprirono la cassa dove era contenuto il cadavere di Galileo Galilei, nascosto per evitare l’ira dell’Inquisizione nella cappella sotto il campanile di Santa Croce a Firenze, si trovarono davanti un corpo completamente essiccato la cui mano destra aveva un inquietante...
...dito medio all’insù.
Quel dito (indicava quel cielo che Galileo aveva studiato? O era un «invito» irriverente all’Inquisizione che l’aveva condannato?) venne letteralmente strappato. Ma altre due dita vennero tagliate e un dente, il molare, estratto. Quelle due dita e quel dente sono stati acquistati, per caso, qualche giorno fa da un collezionista fiorentino che ha partecipato a un’asta.

La storia delle dita di Galileo parte da lontano e arriva ai giorni nostri dentro una cassetta di legno dell’Ottocento che custodisce un’ampolla del ‘700.

Ma tutto nasce proprio nel 1737 quando Giovanni Targioni Tozzetti, storico e naturalista, Anton Francesco Gori, studioso dell’antichità, Vincenzo Capponi, provveditore dell’Accademia fiorentina, l’archiatra Gualtieri e Antonio Cocchi, medico, sono chiamati dal granduca Gian Gastone a riesumare i resti di Galileo per restituirli alla sacralità di Santa Croce, negata fino allora per non indispettire l’Inquisizione.

Davanti al corpo rinsecchito del grande scienziato, i quattro ritengono (per uso comune, dicono gli storici) di dover estrarre frammenti di corpo. Il dito   medio alzato consente a Gualtieri uno strappo veloce. E parte il primo dito. Gori si procura una vertebra e quando Capponi vuol prendersi altre due dita chiede a Tozzetti il coltello che ha in tasca e le taglia via. Il molare cade praticamente da solo.

La storia di questo rituale smembramento del corpo di Galileo è tra l’altro svelata da un’altra studiosa fiorentina, la professoressa storica della medicina Donatella Lippi che, subito dopo l’annuncio della Sovrintendenza, afferma: «quelle dita sono di Galilei, ne ho ricostruito il percorso». Il suo studio, firmato con il collega John Patrick D’Elios, finisce su una famosa rivista americana.

I reperti prendono strade diverse: il dito medio finisce al museo della   Scienza di Firenze e la vertebra a Padova, ma delle altre due dita (pollice e indice) e del dente si perdono le tracce. In verità, scopre Lippi, i reperti restano dal Gori per un po’, poi per asse ereditario vanno al figlio che vende tutto. Nei primi del Novecento, un medico legale compie un expertise e sentenzia che quelle povere dita sono di Galilei. Ma se ne perdono ancora una volta le tracce e le due dita e il dente, chiusi in un’ampolla di cristallo e conservati in una cassettina di legno, finiscono nelle mani e nella cantina di una famosissima famiglia fiorentina che, a un certo punto, svuota la cantina e manda tutto all’asta: dita e dente compresi.

L'asta viene battuta regolarmente: un collezionista fiorentino, a veder quell’urna sovrastata da un busto di Galilei non ci pensa due volte e se l’aggiudica. Poi informa la Sovrintendenza che promette: le presenteremo al pubblico a marzo 2010.

 

Chiara Carenini

Fonte: www.lagazzettadelmezzogiorno.it