Se è vero che “le vie del Signore sono infinite”, quelle dell’uomo a volte non sono da meno. Vi presentiamo un altro capitoletto, da “La Stazione” di Pinuccio Stea, contenente un gustoso “siparietto” avente come protagonista l’indimenticato Vito Tarasco, anzi “Mbà Vtu’cc Taraschc”. Oggi, per merito di quanti si dedicano alla promozione del teatro vernacolare, a Palagiano non mancano certo le occasioni per “rivedersi” e rivedere una sorta di “come eravamo” ma, a modesto parere di chi scrive, andrebbero rivalutati personaggi che come Vito, oltre a lasciare ricordo indelebile, erano definibili a tutto tondo come autentici talenti nell’arte d’interpretare se stessi.

Apparentemente più anonima, Pinuccio è bravissimo nel definirla “rarefatta”, la salumeria di Angelino Oliva, da notare l’uso dell’italiano fin nell’onomastica, vero e proprio contraltare “distinto” a quella popolare oltre che “popolana” dei Tarasco: entrambe definibili come i “palcoscenici” sui quali quotidianamente si rappresentava una “lotta di classe” tutta palagianese e dove ad assurgere a co-protagonisti erano gli stessi avventori. Non era previsto il biglietto d’ingresso ma, l’assicuro a quanti sono giovani oggi, lo spettacolo era sempre di “livello”.


LE SALUMERIE

Mbà Vtu’, ce tien nu picc d’canighj?”, “No n tegn, ci la vuò, tegn la crusca”, “ce mna ja fè d’sta crusca, li jaddin mej sol canighj voln” e fa per andarsene; quando sta per varcare l’uscita Vito Tarasco, proprietario della salumeria, personaggio vivace e caustico, lo richiama e gli fa “aspiett cumbà ca sarè m’è rmast nu picc d canighj, mo voc ved”.
I contenitori delle varie forme di pasta posti su un lato della salumeria. La si vendeva sfusa e, dopo averla pesata, la si incartava in una caratteristica carta di colore paglierino.
Sul soffitto una carta moschicida che d’estate si riempiva di decine e decine di mosche che si andavano ad attaccare su di essa.
I prodotti alimentari esposti sul banco alla vista dei clienti che ordinavano a Vito, il quale durante tutte le operazioni scherzava continuamente con loro.
Insomma un rapporto diretto e cordiale che si rafforzava quando era presente anche la moglie di Vituccio: Fietta, un donnone enorme che contrastava nettamente con il marito magro e segaligno ed anche lei dotata di una vena caustica accentuata.
Non a caso era anche un piccolo luogo di ritrovo dove si discuteva di tutto, ma soprattutto del Taranto, viste le origini tarantine del proprietario.  
Caratteristica era anche l’esposizione all’esterno, grazie ad un apposito gancio, di un intero casco di banane mature da cui il frutto veniva direttamente tagliato per essere venduto.
Altra salumeria era quella di Angelino Oliva nella quale, al contrario si respirava un’aria più “rarefatta” e “signorile” anche per i modi di Filomena Gisonna, moglie del proprietario, che ci teneva ad un certo “livello” del suo negozio.

 

 

Fonte: www.palagiano.net.