Le abitazioni dei commercianti, degli artigiani e dei piccoli proprietari terrieri avevano quasi tutte il piano terra e il primo piano; il piano terra veniva adibito a laboratorio per gli artigiani, a rivendita per i commercianti, a stalla, fienile, magazzino, rimessa per la custodia del carro, per gli agricoltori.

Avevano la cisterna per la raccolta delle acque piovane, il “pozzo nero” per la raccolta delle acque fognarie, la cantina col pozzetto per pigiare l’uva con i piedi, “lu palummèr”.In autunno, nel mese di ottobre, si vendemmiava l’uva nera da cui si ricavava il robusto “primitivo” conservato nelle cantine sotterranee.In quei giorni, per le strade del paese, vi era un andirivieni di operai addetti alla pigiatura dell’uva da vino; si fermavano presso le abitazioni dove l’uva fermentata nei tini attendeva di essere pressata, col torchio azionato solo con la forza delle braccia.Chi non possedeva la cantina lasciava fermentare la propria uva, in ampi tini di legno, davanti alle proprie case, all’aperto; il vino era parte integrante della dieta del contadino, nella sua casa non doveva mancare.Nei pressi del paese, i benestanti avevano il frantoio, per la molitura delle olive, vera ricchezza per quei tempi. Si ricordano: il frantoio di Michele Pavone, il più antico; i frantoi dei Masella, in via Lenne e via Sansonetti; il frantoio del Romanazzi, in via O. Massa; quello dei Sinisi e di Rocco Patruno in via Matera e quello dei Sorace, in via San Marco. 

 Fonte: Memoria storica del nostro ‘900, di Michele Orsini