Fino a qualche anno prima della I Guerra Mondiale, l’illuminazione pubblica era a petrolio o ad acetilene.

Le abitazioni erano illuminate con candele, lucerne a olio e lumi a petrolio.Dopo il tramonto, l’addetto al servizio di illuminazione girava per il paese e riempiva i serbatoi dei fanali appesi agli angoli delle strade, di petrolio, per l’illuminazione notturna; in alcuni punti, perché l’illuminazione fosse più intensa, si usavano fanali con vetri policromi; nonostante fossero ben protetti dalle facce di vetro, quando c’era vento, si spegnevano e le strade rimanevano al buio, lo stesso capitava quando pioveva.Nelle case, i lumi a petrolio, di varia foggia, facevano parte della suppellettile e, i più belli, venivano tenuti anche in bella mostra. Erano molto usate anche le candele, perché più facili da spostare da una stanza all’altra; nelle case antiche c’erano piccoli incavi, nei muri, dove si appoggiavano le candele, specialmente ai lati del letto matrimoniale.Le case dei poveri erano illuminate con le lucerne alimentate con i residui di olio di oliva o con grasso animale.La Chiesa dell’Annunziata, l’unica aperta al culto in quegli anni, fino all’avvento dell’illuminazione elettrica era illuminata con le candele.Nei giorni di festa, il numero delle candele veniva aumentato e si accendevano anche i candelabri appesi alla volta della navata e agli archi degli altari laterali.Per le feste di San Rocco, della Madonna della Stella e del Carmine, il corso principale veniva addobbato con archi di legno illuminati con lumini a petrolio o ad acetilene che dovevano offrire uno spettacolo suggestivo per la luce diffusa anche nelle vie adiacenti, piuttosto buie.Anche le aule delle scuole, durante i corsi di scuola serale, per i lavoratori, erano illuminate coi lumi a petrolio.La spesa per l’illuminazione era considerevole perché prevedeva, oltre all’acquisto del petrolio, il pagamento degli addetti alla manutenzione e alla accensione dei fanali per Palagiano e Palagianello. 

 

 Fonte: Memoria storica del nostro ‘900, di Michele Orsini